domenica 18 ottobre 2009

Polyhedral Methods for Adaptive Choice-Based Conjoint Analysis: note su paper di Toubia, Hauser & Simester (2003)

Ho letto un'altro paper sul polyhedral adaptive question design ed analytic center estimation (collegato al precedente che ho letto a luglio), questa volta applicato alla choice-based conjoint. Alcuni elementi interessanti di quel paper sono:
  • il metodo proposto, denominato polyhedral adaptive choice-based conjoint analysis, consente di personalizzare le alternative presenti all'interno di un questionario basato sui set di scelta (choice sets, quindi domande del tipo: “quale tra questi ipotetici prodotti acquisteresti?”) in funzione delle risposte date dall'intervistato/a ai set di scelta precedenti; ad esempio, se al primo set di scelta l'intervistata X sceglie l'alternativa 1 invece della 2 o della 3 le alternative che le verranno proposte al set di scelta successivo saranno diverse da quelle proposte all'intervistato Y (il quale al primo set ha preferito l'alternativa 3), e così via per tutti i set di scelta successivi
  • il metodo si differenzia dall'aggregate customization in quanto quest'ultima basa la scelta delle alternative da proporre agli/alle intervistati/e all'interno di uno specifico set di scelta sulla distribuzione delle risposte fornite da altri intervistati/e e non necessariamente dall'intervistato/a stesso/a
  • l'obiettivo del metodo proposto in questo paper è quello di ridurre il più rapidamente possibile la gamma di parametri consistenti con le scelte operate dell'intervistato/a fino a quel momento
  • viene ricordato al lettore che è possibile migliorare l'efficienza del metodo di stima noto come Hierarchical Bayes attraverso le procedure di inversione, sostituzione e rietichettatura delle alternative presenti in ciascun set di scelta (procedure sviluppate da Huber e Zwerina e note come swapping, cycling e relabeling)
  • grazie ai principi di non-dominanza, fattibilità, bilanciamento delle scelte e simmetria rispettati dall'algoritmo proposto per l'adaptive polyhedral choice-based question design è possibile ridurre rapidamente lo spazio entro il quale le utilità relative agli attributi ed ai livelli del prodotto/servizio testato ed espresse da ciascun/a intervistato/a possono essere circoscritte, definendone così i valori
  • viene suggerita al lettore la possibilità di migliorare la precisione delle stime ottenute mediante il metodo dell'Analytic Center utilizzando dati che provengono dalla distibuzione dei parametri di utilità riferiti all'intera popolazione
  • è possibile stimare l'utilità relativa di scelte che appaiono in set di scelta diversi mediante l'impiego dell'alternativa di scelta nulla (o non-scelta). Se per un set di scelta viene preferita la scelta nulla è probabile che tutte le alternative proposte abbiano un'utilità inferiore a quella di un'alternativa scelta in un set precedente (ovviamente diversa dalla scelta nulla); ad esempio, se scelgo il profilo 1 invece del profilo 2 nel set A, e poi scelgo il profilo nullo nel seguente set B invece dei profili 3 oppure 4, allora è possibile ipotizzare che io attribuisca un'utilità maggiore al profilo 1 non soltanto rispetto al profilo 2, ma anche al 3 ed al 4
  • viene anche ricordato al lettore che nell'ambito di un modello di tipo logit parametri con valori elevati indicano ad una maggiore precisione della stima in quanto la varianza della distribuzione di Gumbel (la quale sottointende il modello logit) è inversamente proporzionale al quadrato della stima dei parametri; in altre parole tanto più grandi saranno le stime delle utilità, tanto più precise (= minore varianza) esse risulteranno
  • viene inoltre suggerito al lettore che i designi sperimentali ortogonali nell'ambito della choice-based conjoint sono ottimali soltanto quando i parametri da stimare sono uguali a zero. Nel caso in cui i parametri siano maggiori di zero il disegno sperimentale ortogonale non è ottimale
  • quando i dati a disposizione contengono molti errori di risposta il polyhedral question design non funziona correttamente, mentre ha una buona performance nel caso vi siano preferenze eterogenee; detto in altri termini: dove l'eterogeneità è elevata conviene personalizzare utilizzando il polyhedral question design, dove invece vi sono errori di risposta consistenti la personalizzazione rischia di non funzionare correttamente e conviene quindi utilizzare il disegno ortogonale fisso
  • l'esperimento condotto dagli autori ha dimostrato che gli intervistati possono gestire tranquillamente fino a 12 esercizi (set) di scelta tra più alternative
  • la scelta accurata delle alternative da inserire in ciascun esercizio (set) ha il potenziale di aumentare la precisione dei dati e ridurre i costi di sperimentazione; questo perché consente di ridurre il numero di intervistati/e e/o diminuire il numero di domande da porre a ciascun intervistato/a
Per chi fosse interessato/a ad approfondire l'argomento il link alla pagina dalla quale è possibile scaricare gratuitamente il paper è il seguente: http://papers.ssrn.com/sol3/Delivery.cfm/SSRN_ID382380_code030224590.pdf?abstractid=382380&mirid=1

sabato 3 ottobre 2009

TesiCamp: neo laureati & innovazione digitale

Un'occasione per i neo laureati e laureandi che stanno facendo una tesi sull'innovazione digitale: http://www.tesicamp.org/196/

sabato 5 settembre 2009

Lead users and the adoption and diffusion of new products: note su working paper di Schreier, Oberhauser & Prügl (2007)


Rileggendo alcuni concetti chiave che ho estratto da alcuni paper oggi vi propongo alcune riflessioni a partire da alcune evidenze proposte nel working paper di Schreier, Oberhauser & Prügl (2007) “Lead users and the adoption and diffusion of new products - Insights from two extreme sports communities” che ho scaricato dal sito dell'Institute for Entrepreneurship and Innovation della Vienna University of Economics and Business Administration (verificato il 17 agosto 2009): http://www.wu.ac.at/entrep/downloads/publikationen/ml_working_paper.pdf
  • lead users might not only play an important role in the development but also in the adoption and diffusion of new consumer products (pag. 2)
Questo perché, secondo gli autori di questa ricerca, la tendenza ad essere un lead user sembrerebbe essere associata alla propensione ad essere un opinion leader e quindi ad influenzare i comportamenti d'acquisto di altre persone.
  • The greater [the perceived complexity of an innovation], the slower the rate of adoption [of the same innovation] will be (pag. 7)
Ecco un motivo per il quale i lead user possono assistere le aziende nei processi di adozione delle innovazioni: più queste sono percepite come complesse, meno rapida sarà la loro adozione da parte del mercato perché di più difficile comprensione. Ma...
  • consumers’ leading-edge status is significantly related to the perceived complexity of new products […] For lead users, the bow kite thus seems to be significantly less “complex” (pag. 14)
I lead user sono proprio quelle persone che hanno più dimestichezza con la complessità e che meglio riescono ad interpretarla ed a semplificarla a favore degli altri, favorendone la diffusione.
  • a number of users not only “correctly” addressed the benefits as originally intended and marketed by the manufacturers of the bow kite [...] They also found a completely new benefit or application of the concept (pag. 15)
Trovo questo concetto sia fondamentale per comprendere l'innovazione generata dai lead user. Costoro non si limitano ad utilizzare il prodotto in modo convenzionale per soddisfare quei bisogni sulla base dei quali il prodotto è stato pensato ed ideato; i lead user sperimentano bisogni e soluzioni completamente nuove, non pensate da chi ha ideato e concepito il prodotto.
  • consumers’ leading-edge status is negatively and significantly related to opinion seeking (pag. 15)
Dunque un lead user tende a non ricercare l'opinione di altri per orientare i prori consumi ma piuttosto è lui/lei che fornisce ad altri indicazioni su come scegliere; questo ovviamente non in generale ma soltanto nell'ambito specifico nel quale egli/ella tende ad assumere comportamenti di lead usage.
  • Overall, lead users might represent a richer and more comprehensive source for new product management than early adopters (pag. 17)
Infatti i lead users tendono a conoscere meglio degli early adopter la soluzione/tecnologia alla base dell'innovazione e quindi possono, oltre che servire da collaboratori nel processo di sviluppo dei nuovi prodotti, anche fungere da elemento di collegamento tra l'offerta aziendale e la domanda del mercato.
  • The reasons why early adopters tend to buy new products faster than others have been found to be independent of the specific needs a new product aims to fulfill […] thus hardly provide concrete directions for new product development (pag. 17)
Esistono in effetti persone che tendono ad acquistare per primi una nuovo prodotto non necessariamente perché altamente interessati e coinvolti con la nuova soluzione/tecnologia, ma per il piacere di essere i primi ad utilizzare (e specialmente a mostrare ad altri) la novità, mettendo in risalto dunque non tanto la propria esperienza e dedizione verso un prodotto/settore quanto una sorta di desiderio esibizionistico.

Le aziende interessate a promuovere, attraverso attività di word-of-mouth un nuovo prodotto dovrebbero quindi essere attente a comunicare adeguatamente con i lead users cercando di coinvolgerli anche in attività di promozione dell'innovazione alla creazione della quale essi hanno collaborato.

lunedì 17 agosto 2009

From Innovation Community to Community Innovation: note su Van Oost, Varhaegh & Oudshoorn (2008)

Oggi vi propongo alcuni concetti estratti da Van Oost, Varhaegh & Oudshoorn (2008) “From Innovation Community to Community Innovation - User-initiated Innovation in Wireless Leiden” Science,Technology, & Human Values, Vol. 20, Nr. 10, Sage Publication.

Si tratta di uno studio realizzato per capire come gli utenti di un prodotto/servizio possono realizzare in completa autonomia lo stesso prodotto/servizio. Il case study proposto è quello della comunità di utenti denominata Wireless Leiden i quali, nell'omonima cittadina olandese, a partire dal 2001 hanno sviluppato un network wireless per l'accesso gratuito ad Internet, utilizzando una infrastruttura informatica (backbone) completamente senza fili (una soluzione giudicata tecnicamente innovativa).

  • Instead of depending on what producers offer them, users increasingly are able to develop what they want themselves (pag. 4)

La base di partenza di molte iniziative di innovazione collaborativa è proprio questa: l'acquisizione della consapevolezza da parte degli utenti di essere in grado di costruire ciò che essi desiderano senza attendere che ciò che essi desiderano venga offerto da qualche azienda.

  • combining lead user analysis with attention for user diversity—among lead users as well as other types of users—is fruitful when it comes to analyzing the innovative agency of users (pag. 5)

Il concetto estende quello dei lead user proposto da Von Hippel (1986). L'idea è quella di sfruttare la diversità presente in tutti gli utenti di un prodotto e non soltanto tra i lead user, i quali rappresentano comunque un punto di riferimento importante per le aziende che intendono innovare.

  • the innovation community can be purely functional but may also fulfill the role of a social (virtual) community providing sociability, support, a sense of belonging, and social identity (pag. 6)

Essenziale dunque non dimenticare il ruolo di socialità, senso di appartenza e di identità sociale offerto anche dalle comunità virtuali di innovazione. Questo tipo di ricompense sono quelle che spesso fanno sì che l'impegno dei singoli sia determinante per il successo dell'intera iniziativa.

  • [Script] reengineering [is] a collective activity. The exchange of information and knowledge [is] not only essential in realizing this lead users’ innovation but also the alignment of different types of knowledge […as] different types of knowledge [is] distributed over more than one person (pag. 12)

In altra parole: non è il singolo individuo che innova, ma ciascuno all'interno della comunità apporta conoscenze e competenze che servono a determinare il risultato finale. Ad esempio una delle competenze importanti è la capacità di ricongiungere diversi tipi di conoscenza specifica a favore di in una soluzione ad un problema specifico.

  • [within the Wireless Leiden project] the “who-builds-decides” rule [was introduced] to prevent endless debates without getting anything done (pag. 16)

Importante stabilire regole per il corretto funzionamento della comunità. Generalmente il principio di fondo rispettato nei progetti peer-to-peer è proprio quello della meritocrazia: chi più realizza più ha diritto di decidere. Vi è generalmente poi una sorta di “steering committee” o comitato di controllo ridotto ad un numero limitato di persone il cui compito è quello di delineare le linee guida del progetto e di controllarne il funzionamento dal punto di vista “macro”.

  • our empirical findings illustrate that the innovation community members perform many more activities [than lead users theorized by von Hippel] (pag. 17/18)

Interessante analizzare quindi la composizione di una comunità in maggior dettaglio rispetto al taglio piuttosto netto proposto da Von Hippel (1986) il quale differenziava lead users dagli altri utenti. Emergono composizioni e ruoli che immagino siano poi riferibili a contesti specifici, ma che in classificano i ruoli degli utenti in modo più articolato.

  • For realizing the growth and stabilization of Wireless Leiden, the diversity of available skills and competencies proved crucial (pag. 18)

La diversità prova dunque di essere ancora una volta alla base dell'innovazione. Una della competenze chiave alla base dell'innovazione collaborativa è sicuramente la capacità di mediare e di fare confluire le differenze all'interno di un progetto comune di successo.

  • the community is part of the innovation itself […] it is inadequate to assume an a priori distinction between the “technical” innovation and the “social” community (pag. 19)

In un contesto collaborativo la componente sociale dell'innovazione è dunque imprescindibile dalla componente tecnologica. Come dire, non vi è soluzione innovativa se le competenze tecnologiche non vengono opportunamente mediate ed integrate dalle abilità sociali che la comunità esprime.


BIBLIOGRAFIA:

Von Hippel, E. (1986) Lead users: A source of novel product concepts. Management Science 32 (7): 791-805.



venerdì 14 agosto 2009

Collaborative innovation: note sul testo di Verona e Prandelli

Leggendo (nuovamente) Verona & Prandelli (2006) Collaborative innovation: marketing e organizzazione per i nuovi prodotti (ed. Carocci) ritrovo alcuni interessanti concetti che ho pensato di riportare e commentare brevemente di seguito.
  • così come l'apprendimento è cognitivamente soffocato dalla cumulatività della conoscenza, l'innovazione è sostanzialmente limitata dalle stesse competenze organizzative di cui si nutrono le imprese (pag. 22)

Mi pare abbastanza ovvio il contrasto tra la capacità espressa dall'azienda nel gestire i propri processi produttivi correnti e l'abilità a stravolgere gli stessi per potere innovare. Mi pare emerga evidente la necessità di “esternalizzare” in qualche modo la funzione di innovazione in modo tale che essa non venga vincolata dalla cultura organizzativa dell'impresa. Ecco dunque un primo fondamentale motivo per aprire l'azienda alla collaborative innovation.

  • diviene fondamentale non tanto l'innovazione in sé, quanto la capacità di fare innovazione. Non tanto la gestione del singolo progetto innovativo, quanto la capacità di gestire un'organizzazione che innova (pag. 39)

Nell'ottica di un economia in continuo mutamento mi pare questa visione divenga sempre più importante. Il paragone che mi viene in mente è quello relativo alla rilevazione della customer satisfaction: da un lato possono essere realizzate delle indagini spot (una tantum) spesso slegate l'una dall'altra; dall'altro è possibile impostare dei veri e propri progetti di monitoraggio continuativo che mettono in relazione aspetti di soddisfazione del cliente con elementi di profittabilità dell'impresa. Due approcci tra di loro alquanto distinti.

  • l'idea di innovazione continua si fonda su un cadenzamento sistematico delle innovazioni (…) ciò non implica sviluppare in modo continuo innovazioni di natura radicale, visti i costi ed il rischio di insuccesso che queste comportano, ma un ricorso a trecentosesanta gradi alle varie tipologie di innovazioni attivabili nel mercato (pag. 40)

Dunque innovazione continua non vuol necessariamente dire innovare continuamente, ma piuttosto predisporre il maggior numero possibile di strumenti perché l'azienda dialoghi in termini innovativi ed in modo continuativo con il mercato. In altri termini si tratta di estendere il sistema di informazione di marketing, aprendolo al maggior numero di stimoli e contaminazioni possibili (tenendo però sempre ben presente la necessità che l'informazione raccolta deve comunque rimanere gestibile).

  • la conoscenza emergente nelle relazioni tra consumatori influenza profondamente le scelte di adozione di nuovi prodotti (pag. 51)

Nulla di apparentemente nuovo sotto il sole: alcuni consumatori provano il nuovo prodotto/servizio prima di altri e ne (s)consigliano il consumo ad altri. L'elemento di assoluta novità che talvolta può sfuggire è che i social network consentono di diffondere sia le opinioni dei consumatori ben oltre i confini geografici e culturali noti nell'era precedente a quella della diffusione di massa di Internet.

  • i segmenti [di mercato] per i quali l'offerta dell'impresa genera un valore superiore rispetto a quella resa disponibile dai concorrenti tenderanno ad essere maggiormente collaborativi (pag. 53)

Il consumatore può infatti scegliere se collaborare a progetti innovativi promossi dalle imprese così come decidere con quali imprese collaborare. Egli/ella tenderà a collaborare a progetti che generano il maggior valore aggiunto per se stesso/a. Questa è generalmente la peculiarità offerta del leader di settore. Dunque essere leader di settore tende a produrre una maggiore volontà di adesione a progetti di collaborazione innovativa da parte dei propri consumatori. Questo atteggiamento è probabilmente correlato anche ad un maggiore livello di soddisfazione e di fidelizzazione espresso dai clienti di aziende leader di settore e rientra all'interno di un circolo virtuoso:

  1. azienda leader di mercato =>

  2. clienti tendenzialmente più soddisfatti e fidelizzati =>

  3. maggiore disponibilità a collaborare per innovare =>

  4. maggiore soddisfazione e fidelizzazione =>

  5. consolidamento posizione dominante dell'impresa

Meno ovvio è dunque il cammino verso la collaborazione innovativa per le aziende che non sono leader di mercato. In questo caso diviene opportuno stimolare la volontà dei clienti a collaborare attraverso attività di comunicazione ed incentivazione mirate.

  • i lead user si sono rivelati fondamentali nei mercati ad alto tasso di coinvolgimento emotivo del cliente (pag. 55)

Ciò accade perché in tali contesti il cliente e meno capace di esprimere razionalmente le proprie preferenze ed i lead user tendono a fungere da trait d'union di fondamentale importanza tra la base di consumatori e l'impresa, aiutando l'azienda a tradurre bisogni ed atteggiamenti inespressi o non articolati esplicitamente in informazione utilizzabile nel processo di sviluppo dei nuovi prodotti.

  • i clienti possono apprezzare e quindi ricercare innovazioni che riducano i costi connessi al processo di acquisto e consumo (pag. 63)

Infatti non bisogna dimenticare che innovare non significa necessariamente creare qualcosa di nuovo, ma talvolta “semplicemente” produrre in modo più efficiente ed economico gli stessi beni/servizi già presenti sul mercato. In questo caso l'innovazione ha un impatto sul conto economico aziendale pur non avendo un impatto diretto sul mercato.

  • tramite la creazione di comunità virtuali di consumo, il Web permette alle aziende di accedere alla dimensione sociale della conoscenza dei consumatori (pag. 71)

La dimensione sociale della conoscenza rappresenta un concetto importante e talvolta sottovalutato. Grazie alle possibilità di interazione offerte dal web 2.0 è infatti sempre più centrale nella realtà dei consumatori la possibilità di esprimere la propria socialità attraverso interazioni virtuali. La conoscenza tecnico/pratica posseduta dai consumatori e manifestata attraverso le interazioni online si integra con una conoscenza di tipo sociale che arricchisce l'output finale, il quale però si presenta commisto delle due componenti e, prima di potere essere utilizzato nei processi innovativi, deve essere opportunamente analizzato e compreso.

  • il senso di appartenenza e di identità comune che viene a consolidarsi all'interno delle comunità virtuali può fortemente potenziare i processi informali di integrazione della conoscenza a livello sociale (pag. 78)

Si generano infatti una serie di relazioni basate sulla fiducia reciproca e sulla condivisione di valori; sono proprio fiducia e condivisione che possono motivare la partecipazione attiva di coloro che aderiscono alle comunità online

  • nei contesti virtuali l'impresa ha […] la possibilità di accedere in maniera sistematica e su ampia scala […] a una conoscenza di consumo di tipo simbolico, di natura sociale, a un livello di codificazione tacito e di ampio respiro (pag. 82)

I meccanismi attraverso i quali accedere ad una tale forma di conoscenza si chiamano comunità virtuali, netnografia, lead users, ecc... Una volta progettati, messi a punto correttamente e gestiti, tali meccanismi possono permanere a lungo nel tempo ed essere utilizzati dall'azienda ripetutamente non soltanto come laboratori di innovazione continuativa, ma anche come sistemi permanenti di feedback di mercato.

  • gran parte dell'utilità per l'utente [di un nuovo servizio] discende dall'esperienza che egli stesso contribuisce a creare nelle sue interazioni con l'azienda al momento dell'erogazione (pag. 86)

L'utente desidera sempre di più essere parte attiva del processo di creazione del valore, non soltanto il mero destinatario di quel processo. I servizi sono sempre meno percepiti come scatole chiuse ed inaccessibili; sono invece sempre più terreno di confronto e di sperimentazione tra fornitori ed utenti dei servizi stessi. Il confine tra fornitore ed utilizzatore del servizio diventa particolarmente labile nelle comunità di consumo virtuali nelle quali spesso una parte degli utilizzatori diventano anche “fornitori” (di alcune componenti) del servizio.

  • gli stessi utenti tendono a giungere a diverse articolazioni del "prodotto ideale" a seconda che sia richiesto loro di aggiungere attributi a un modello base o sottrarre attributi non desiderati alla configurazione più completa possibile (pag. 91)

Mi pare questo sia un'interessante risultato sperimentale. Ci ricorda di quanto sia difficile mappare correttamente il processo mentale che induce il singolo individuo a scegliere un determinato prodotto/servizio.

  • [le comunità virtuali] vengono a costituire un target particolarmente interessante per l'azienda, in quanto risultato di un processo di auto-segmentazione che garantisce elevato coinvolgimento […] nei casi migliori trasformando gli utenti in veri proseliti della propria offerta (pag. 95)

Dunque le comunità virtuali possono/debbono essere utilizzate non soltanto come strumento per l'innovazione ma, più ampiamente, rientrare a pieno ruolo nella strategia di marketing aziendale, soprattutto in quei mercati ed in quegli ambiti dove l'acquisto ed il consumo del prodotto/servizio assume una marcata connotazione sociale.

  • [nell'approccio] open sourcing […] l'impresa viene a beneficiare del forte senso di responsabilità che il singolo [… avverte] nei confronti del gruppo e che lo motiva ad apportare il suo migliore contributo (pag. 113)

Sicuramente il senso di responsabilità verso il (come quello di riconoscenza da parte del) gruppo sono determinanti nel motivare la partecipazione attiva ad iniziative di collaborazione aperta e distribuita. Rappresentano la “moneta” attraverso la quale i collaboratori al progetto spesso si sentono ripagati; sono dunque elementi ai quali riservare un'attenzione del tutto particolare nella progettazione e realizzazione di un qualsiasi progetto open-source.

  • [Ducati ha scoperto che] un numero rilevante dei propri fan trascorre il suo tempo non solo a guidare la propria moto, ma anche a prendersene cura e a personalizzata (pag. 121-122)

Le attività di consumo infatti spesso non si limitano alla mera fruizione/utilizzo del prodotto/servizio, ma consistono anche in forme di personalizzazione del prodotto/servizio stesso. Si pensi ad esempio alle “cover” dei telefoni cellulari, agli interni della propria auto, alla personalizzazione della propria pagina web oppure alla scelta dei canali televisivi selezionabili rapidamente attraverso il telecomando. Si può probabilmente pensare che la personalizzazione del prodotto/servizio sia parte dell'attività di fruizione stessa. Si può anche ipotizzare che esistano desideri di personalizzazione più o meno marcati da parte dei singoli clienti e che questi interagiscano con il grado di coinvolgimento che il singolo consumatore pone in ogni categoria di prodotto: più alto il coinvolgimento con quel prodotto/servizio, più elevato sarà molto probabilmente il desiderio di personalizzare quel prodotto/servizio.

  • La predisposizione di appropriati meccanismi di ricompensa per i partecipanti è un fattore chiave per il coinvolgimento del cliente nell'innovazione (pag. 127)

La necessità di dare qualcosa in cambio ai clienti che spendono tempo ed energie per aiutare l'azienda ad innovare (ma anche, più in generale, a gestire il proprio business) è un aspetto che penso non venga mai stressato a sufficienza. L'occasione di fornire una ricompensa è anche utile a rafforzare la propria brand image presso i clienti che, decidendo di partecipare attivamente ad un'iniziativa aziendale di un certo spessore, si dimostrano essere in qualche modo già “legati” al marchio aziendale. Paradossalmente anche coloro che hanno vissuto un'esperienza negativa ed hanno quindi un atteggiamento tutt'altro che favorevole rispetto all'impresa possono sentire il bisogno di relazionarsi con l'azienda.

  • le aziende sono interessate [alla conoscenza raccolta dai virtual knowledge broker] per almeno due ragioni […da un lato] esse sono vincolate dai loro limiti cognitivi e dalle loro core competence […dall'altro] la loro reach è fisicamente limitata da confini geografici e settoriali (pag. 137)

L'apporto degli innomediari, e cioè degli intermediari dell'innovazione, è importante per superare una serie di confini che ogni azienda tende a stabilire intorno a se, siano esse barriere operative, geografiche oppure culturali: l'impresa necessità di spaziare oltre i propri limiti per riuscire a carpire delle opportunità altrimenti irraggiungibili per potere innescare un processo di cross-fertilizzazione che più facilmente porta alla concretizzazione di idee innovative.

  • oggi [è] una scelta imprescindibile per molte aziende lo sviluppo di canali di comunicazione interattiva con e tra i propri clienti (pag. 143)

Dunque la questione non si pone più in termini di “se” gestire un numero crescente di interazioni con i propri clienti, ma piuttosto “come” gestire tali interazioni. Nello specifico la comunicazione azienda <=> cliente avviene sempre più in tutte e 4 le possibili direzioni: azienda=>azienda (comunicazioni interne), azienda=>cliente (promozioni, offerte, risposte alle richieste, ecc), cliente=>azienda (richieste di informazioni, richieste di assistenza, feedback spontanei, feedback sollecitati, ecc) e cliente=>cliente (scambi di opinioni ed esperienze, richieste di assistenza, ecc).

  • Le comunità virtuali hanno un'origine e una natura sociale, prima ancora che economico-produttiva […] basata sulla condivisione di risorse di natura cognitiva, emozionale o materiale

Diversamente non sarebbe possibile il livello di condivisione e di “produttività” creativa che le comunità spesso garantiscono. Altre forme di aggregazione più “semplici” sono i network, i quali presentano legami tra i membri duraturi nel tempo ma non sottointese da profondo interesse comune, una cultura condivisa ed un'identità legittimata dal gruppo (Sawhley & Prandelli, 2000). Quindi fare comunità vuol dire creare senso di appartenenza, stimolare la partecipazione attiva, favorire la formazione di relazioni personali tra i partecipanti, facilitare la diffusione di un clima di fiducia e collaborazione reciproca tra i membri, delineare le regole ed i confini di appartenenza alla comunità, ecc....

  • [le comunità di pratica sono] volte a favorire la socializzazione delle esperienze maturate dai loro membri […] al fine di creare conoscenza condivisa, favorirne il riutilizzo e la sedimentazione nel tempo (pag. 147)

Tra le varie forme di comunità quella di pratica mi pare rappresenti un primo interessante passo verso l'innovazione. I due obiettivi fondamentali di questo tipo di comunità sono quelli di socializzare e di condividere la conoscenza. La socializzazione consente il diffondersi di un clima di fiducia e collaborazione, mentre la condivisione delle conoscenza è alla base dei meccanismi di creazione delle nuove idee. Importante anche l'aspetto di permanenza delle interazioni nel tempo, aspetto utile come riferimento continuo alle esperienze ed alla conoscenza aziendale già maturata e potenzialmente utile in futuro.

  • Le funzioni fondamentali di una comunità virtuale di consumo […sono] aggregazione della domanda su scala globale; analisi di mercato; intensificazione dei flussi di comunicazione con e tra i consumatori; co-definizione dei valori associati al brand aziendale; fidelizzazione degli utenti (pag. 151)

L'adozione di una comunità virtuale di consumo richiede dunque una ritrutturazione piuttosto significativa delle funzioni aziendali, ed in particolare del marketing. In particolare non siamo più in uno scenario marketing 1.0 dove l'azienda periodicamente offre i propri prodotti/servizi comunicandone i benefici ad un mercato target e periodicamente raccoglie i feedback del mercato stesso; nel marketing 2.0 la mappa ed i contenuti delle comunicazioni si complica sostanzialmente, ogni singolo partecipante al mercato può virtualmente comunicare con ogni altro partecipante a costi contenuti (spesso pressoché nulli); sia i bisogni che le alternative per soddisfarli divengono più fluide, e l'azienda si trova a fronteggiare crescenti difficoltà nel condizionare i comportamenti del mercato secondo la propria volontà.

  • [le comunità virtuali servono anche per definire i] valori associati ai marchi dell'impresa in un'ottica sempre più collaborativa […in quanto] all'interno della comunità si innesca una sorta di negoziazione tra […] significati (pag. 155)

Cosa rappresenta un determinato marchio? In passato era principalmente la comunicazione aziendale a definire il significato da associare al marchio; oggi è sempre più l'interazione tra coloro che acquistano, utilizzano e/o promuovono il marchio a definire i valori del brand. Ad esempio, il teenager che in passato utilizzava il gruppo dei pari (scuola, amici, ecc) come “laboratorio” di elaborazione del significato da attribuirsi alla marca di abbigliamento X, oggi ha anche la possibilità di venire in contatto (rapidamente ed a costi pressoché nulli) con altri teenager in tutto il mondo, scambiare con loro contenuti multimediali, essere cittadino del cyberspazio e di conseguenza molto probabilmente attribuire significati diversi alla marca X.

  • La fiducia nei confronti degli altri membri della comunità […] è […] influenzata da […] l'esistenza di opportuni meccamismi di validazione delle informazioni […e] dalla bontà del contributo che il singolo di volta in volta riceve dagli altri membri della comunità (pag. 160)

Per funzionare al meglio le comunità (virtuali) devono in qualche misura autogestirsi, definendo non soltanto i meccanismi di valutazione dei singoli contributi/partecipanti, ma anche le regole di partecipazione e le relazioni con l'eventuale azienda sponsor, ivi compresi eventuali pay-off per coloro che contribuiscono attivamente al benessere della comunità (e di conseguenza dell'azienda). Il meccanismo di sanzione rispetto ai partecipanti e/o alle aziende che non rispettano le regole di adesione alla comunità è spesso implicito ma non per questo meno efficace.

  • Il controllo monopolistico della conoscenza […] e i profitti che ne derivano rappresentano una perdita per la società, causata dal mancato possibile utilizzo della stessa (pag. 190)

Interessante concetto macroeconomico che sta alla base dello svilippo dell'Open Source Software e della General Public License. In questo contesto, l'azienda produttrice di software che desidera rimanere concorrenziale deve necessariamente considerare la sfida posta dal mercato open source; un possibile modello di business in questo senso è quello di offrire supporto, assistenza tecnica e consulenza agli utenti di software open source non (pienamente) in grado di integrare l'applicativo nei propri processi produttivi e gestionali.

  • a specifiche condizioni - ad esempio attraverso la diffusione dell'innovazione per beneficiare degli effetti di rete - rendere disponibile senza restrizioni l'innovazione può portare a un guadagno netto in termini di profitto (pag. 192)

Altro concetto decisamente interessante ed....innovativo! Il brevetto è solitamente costoso e lungo da ottenere, ed allo stesso tempo brevettando si rischia che il brevetto venga superato o migliorato nel giro di breve, per cui talvolta ha realmente senso pensare di ottenere dei profitti rendendo liberamente disponibile sul mercato l'innovazione ed offrendo dei servizi utili per implementare/adattare l'innovazione.

  • chi più mette a disposizione il proprio supporto per aiutare gli altri è anche più facilmente […] in grado di contribuire all'innovazione (pag. 199)

All'interno delle comunità virtuali si instaura infatti un meccanismo virtuoso che tende ad autoalimentare ed automotivare la partecipazione di alcuni “attivisti” rispetto agli altri. Costoro non soltanto beneficiano della reputazione che si sono creati all'interno della comunità, ma generano sempre più contributi ed idee a beneficio degli altri. Dunque in ogni comunità virtuale è possibile evidenziare alcuni “lead user” che più di altri partecipano, innovano, gestiscono la comunità ed accrescono la propria reputazione. Gli stessi individui sono quelli che generalmente risultano più utili per l'azienda intenzionata ad innovare.


BIBLIOGRAFIA:

Sawhney M. & Prandelli E. (2000) Communities of Creation: Managing Distributed Innovation in Turbulent Markets, California Management Review, 42/4, pp. 24-54

martedì 28 luglio 2009

Come innovare - articolo di Kevin Taylor

Ho appena finito di leggere un articolo di Kevin Taylor (il Managing Director di BT Asia-Pacific) a proposito di innovazione ed ho pensato di condividere alcune considerazioni fatte da Mr. Taylor:
  • La paura che le aziende non sentano il bisogno di innovare continuamente anche durante periodi di recessione è infondata. I leader delle aziende di successo conoscono molto bene i vantaggi dell'innovazione
Ciò significa che le aziende di successo riconoscono l'importanza di innovare anche in questo periodo di recessione. Mr. Taylor riporta alcuni esempi significativi di importanti innovazioni che hanno avuto origine in epoche di recessione economica
  • Può un'azienda pensare veramente "fuori dal coro" se così facendo viola i propri valori? A volte è necessario l'intervento degli outsider per evidenziare le contraddizioni
Trovo che questa sia un'affermazione molto interessante. L'abilità di ascoltare le critiche costruttive e di accogliere le idee propositive provenienti dall'esterno può essere molto utile anche durante periodi non di recessione economica
  • nel mondo moderno, la tecnologia costituisce l'infrastruttura sulla base della quale si sviluppa l'innovazione
Beh, direi che è vero. Vi è forse una qualche reale e sostanziale innovazione recente che non sia basata sulla tecnologia?
  • le aziende che meglio sopportano la tempesta economica sono quelle con operazioni globali
Affermazione anch'essa interessante, anche se penso vi siano anche altre caratteristiche che contraddistinguono le aziende che registrano successi anche in questo periodo: management capace di intepretare il futuro, corretta valutazione dei mutamenti nei bisogni e nelle abitudini dei clienti, ecc...

domenica 26 luglio 2009

La folla è intelligente (quando focalizzata) - Articolo NYTimes

Interessante articolo di Steve Lohr del New York Times sul crowdsourcing: http://www.nytimes.com/2009/07/19/technology/internet/19unboxed.html?_r=2&th&emc=th

Un paio di passaggi che trovo particolarmente interessanti sono i seguenti:
  • "l'innovazione è spesso dipinta come un gioco di numeri. Più sono i partecipanti, meglio è" ma allo stesso tempo "i modelli di innovazione aperta hanno successo soltanto quando sono progettati con attenzione per uno scopo preciso e quando gli incentivi sono pensati per attrarre i collaboratori più efficaci"
Penso che sia anche importante che venga promossa e si instauri una qualche forma di collaborazione non-competitiva tra i partecipanti perché vengano prodotti i risultati migliori. In altre parole a mio avviso le interazioni sociali non possono essere eliminate dalla concorrenza se l'obiettivo è quello di ricercare soluzioni ottimali ad un problema/bisogno.
  • "i modelli di innovazione aperta vengono adottati per superare le gerarchie aziendali" ma anche "per avere successo, dice Mr. Chesbrough, l'azienda deve avere una cultura aperta verso le idee esterne ed un sistema per recepirle ed agire sulla base delle stesse"
Quindi il crowdsourcing non fa soltanto riferimento alla possibilità di ottenere idee e suggerimenti da tante persone quante sono quelle che desiderano fornirle, ma anche ad aziende culturalmente capaci di agire sulla base delle idee e dei suggerimenti forniti, flessibili e pronte ad effettuare cambiamenti (talvolta anche radicali).

venerdì 24 luglio 2009

Note su polyhedral question design ed analytic center estimation

Ho appena terminato di leggere un paper del 2003 sulla adaptive conjoint utilizzando il polyhedral question design e l'analytic center estimation e vorrei riportare alcune note:

  • Il polyhedral question design ha a che fare con la riduzione delle domande da porre nelle simulazioni di analisi congiunta (conjoin analysis) allo scopo di alleviare l'impegno degli/delle intervistati/e ed allo stesso tempo mantenere elevata la qualità del dato raccolto

  • Se si considera un numero di domande ridotte, il polyhedral question design fornisce dei risultati migliori ad altri metodi di progettazione dell'esperimento congiunto (come il fixed design oppure l'adaptive conjoint analysis) sia in termini di validità interna (holdout task) che esterna (choice task)

  • Pur non fornendo risultati in assoluto migliori rispetto ai metodi già esistenti, se paragonato al metodo “tradizionale” del disegno sperimentale fisso il polyhedral question design permette di ottenere risultati qualitativamente equivalenti utilizzando circa la metà delle domande

  • Essendo basato su un algoritmo matematico assai complesso (che però, grazie a recenti sviluppi della programmazione matematica, viene risolto rapidamente, e cioè senza ritardi o disagi percepibili dall'intervistato/a) il polyhedral question design si adatta bene ad essere applicato ai questionari per i panel online

  • Il polyhedral question design può essere applicato a dati di tipo metrico (paired-comparison) così come a dati di tipo categoriale (choice-based conjoint)

  • L'analytic center è un metodo di stima dei dati derivanti dalla analisi congiunta che si basa sulla proiezione interna dei vertici di un poligono che descrive lo spazio multidimensionale all'interno del quale vi sono i valori dei parametri da stimare; esso può essere utilizzato assieme al polyhedral question design ma anche per stimare i dati derivanti da altri tipi di disegno sperimentale

  • Rispetto all'altro metodo di stima spesso utilizzato nei modelli di analisi congiunta adattativa, e cioè lo hierarchical Bayes, l'analytic center funziona meglio se applicato su popolazioni molto eterogenee ma con un errore di risposta contenuto (quindi sostanzialmente se applicato ad esperimenti che riguardano prodotti o servizi più semplici e/o intervistati/e più attenti/e e motivati/e, anche se con preferenze discordanti tra loro)

  • Lo hierarchical Bayes è un metodo di stima che fa uso dei dati della popolazione per informare la distribuzione delle risposte del/della singolo/a intervistato/a, ed è quindi più funzionale dove la popolazione è più omogenea ma anche più utile dove vi sono intervistati/e meno attenti/e e motivati/e

  • Un tema importante nei metodi adattativi di analisi congiunta è il cosidetto endogeneity bias, per il quale ogni nuova domanda posta all'intervistato/a dipende dalle domande poste in precedenza, e ciò può causare un vizio nei risultati della simulazione, in quanto l'errore di misurazione dipende dal numero di domande poste; detto ciò, il polyhedral question design appare essere meno sensibile dell'adaptive conjoint analysis rispetto all'endogeneity bias

  • L'aggiunta di domande auto-esplicative (self-explicated) sull'importanza dei parametri (quindi di dati digiunti utilizzati insieme ai dati dell'analisi congiunta a formare i cosidetti modelli ibridi) ha mostrato un miglioramento nella qualità del dato ottenuto dalle varie simulazioni, ma va precisato che la categoria di prodotti testata (borse porta-computer) è tipicamente una di quelle dove i parametri di valutazione sono nettamente separabili e dove presumibilmente la qualita del dato auto-esplicativo è elevata; non è affatto certo che lo stesso tipo di considerazione sia fattibile per categorie di prodotto che prevedono una separazione meno netta tra gli attributi che compongono un prodotto/servizio

  • L'analytic center sembra funzionare meglio quando i dati auto-esplicativi non sono presenti e quando viene utilizzato il polyhedral question design

  • Nel complesso, il polyhedral question design e l'analytic center sembrano avere delle buone prospettive di impiego e di sviluppo tra i metodi sperimentali di analisi delle preferenze dei consumatori

Per chi fosse interessato/a il link al paper è: http://bear.cba.ufl.edu/centers/mks/articles/1a93888be3_article.pdf

mercoledì 1 luglio 2009

Tre metodi essenziali per la ricerca di mercato nell'ambito di una comunità online

Interessante articolo di John Kembel, CEO della HIVELIVE sulle opportunità che le comunità online offrono ai ricercatori di mercato.

Mi pare interessante sottolineare alcuni passaggi dell'articolo:

"Tra i direttori marketing ed i senior marketer intervistati in una recente indagine Forrester Research, 47% dichiarano di utilizzare le comunità di consumatori e stanno aumentando il loro impiego dei social media per ottenere, testare e commercializzare le loro idee"

"Considerate insieme, le discussioni non strutturate (il social network) e le attività dirette (raccolta attiva di dati ed informazioni) forniscono una panoramica più dettagliata e completa del consumatore"

"Le sessioni online possono sostituire altre strategie di ideazione oppure integrarle attraverso un forum per discussioni preliminari oppure di follow-up, consentendo ai partecipanti di approfondire gli argomenti che sono rilevanti per l'azienda committente"

"Utilizzando le comunità online per validare e raffinare le proprie idee è possibile ottenere un feedback più completo e di qualità più elevata, generando prodotti pronti per il mercato, riducendo il tempo di sviluppo del nuovo prodotto ed arrivando prima sul mercato"

"Fare leva sulle comunità online sta diventando uno dei metodi migliori per innovare e cogliere le opportunità offerte dal mercato. Ed è proprio durante un periodo di recessione economica il momento più adatto muiversi in tale direzione"

giovedì 11 giugno 2009

Analisi sul crowdsourcing

Ecco un'interessante analisi sul crowdsourcing con alcune statistiche sui partecipanti al progetto Innocentive:



domenica 1 marzo 2009

Information Pump: giochiamo a diventare creativi?

Ecco una tecnica che consente di stimolare la creatività allo scopo di generare idee innovative: l’Information Pump (Prelec, 2001; Dahan & Hauser, 2002)

Intanto è necessario notare come i copy test, le valutazioni di nuovi prodotti, ecc… facciano tutte affidamento sull’ipotesi che le dichiarazioni degli intervistati/partecipanti siano veritiere ed affidabili. Ciò purtroppo non è sempre vero in quanto disattenzione, pigrizia, ansia, dinamiche di gruppo, ecc… tendono ad influenzare (talvolta anche pesantemente) la qualità dei dati raccolti.

L’Information Pump è una metodologia mirata a risolvere alcune di queste limitazioni attraverso l’utilizzo di un contesto ludico/competitivo e di un punteggio sulla base del quale motivare la partecipazione attiva

L’obiettivo dell’Information Pump è quello di stimolare la creatività dei “giocatori”. Il “gioco” prevede 3 elementi fondamentali:

  1. i codificatori (Encoders)

  2. il Dummy

  3. l'oggetto (prodotto/servizio/concept) da valutare

La procedura si svolge come segue:

  1. a ciascun Encoder (ma non al Dummy) viene fornita una descrizione dell'oggetto da valutare, possibilmente supportata da immagini, video, audio e preferibilmente leggermente diversa per ciascun Encoder (ad esempio delle foto di un'auto prese ciascuna da una prospettiva diversa)

  2. a turno ciascun Encoder fornisce una frase descrittiva dell'oggetto (ad esempio: è un'auto che consuma poco)

  3. ciascun Encoder indica se egli/ella ritiene la frase proposta essere veritiera o meno (Vero/Falso)

  4. ciascun Encoder ed il Dummy forniscono una previsione (forecast) sulle risposte fornite alla descrizione da parte di tutti gli Encoder (ad esempio 8 su 10 significa che si prevede che circa 80% degli Encoder abbiano indicato Vero)

  5. si calcola il punteggio (eventualmente aggiornandone la somma) e si ripetono i 4 punti di cui sopra per almeno una decina di volte cambiando a turno l'Encoder

  6. al termine del “gioco” i giocatori con il punteggio più elevato vengono premiati

Il punteggio attribuito a ciascun giovatore è frutto di una combinazione di 3 componenti:

  1. il Dummy viene premiato per la correttezza del suo forecast. Dunque frasi scontate o ripetitive (ad esempio: è un'auto che ha 5 porte) tendono a favorire il forecast del Dummy, mentre frasi originali e creative (ad esempio: è un'auto che farebbe sognare qualsiasi neopatentato) tendono a sfavorirlo/a in quanto egli/ella non è in possesso degli aiuti visivi forniti agli Encoder

  2. gli Encoder vengono anch'essi premiati per la loro capacità di forecast ma il calcolo viene fatto in termini non assoluti ma bensì di differenziale rispetto al forecast fornito dal Dummy. Impegno, empatia e ricerca di un linguaggio condiviso vengono premiati in questa fase

  3. l'Encoder che ha proposto la frase viene premiato in funzione del differenziale in termini di correttezza del forecast fornito dagli altri Encoder rispetto alla correttezza di quello fornito dal Dummy. Frasi originali e non ripetitive vengono nuovamente premiate rispetto a frasi ripetitive e scontate perché l'originalità consente di mantenere il Dummy all'oscuro rispetto all'oggetto da valutare

Rispetto ai più tradizionali metodi di ricerca l'Information Pump presenta alcuni interessanti vantaggi:

  • rispetto ai focus group si ottengono giudizi che consentono di valutare la qualità degli stimoli forniti

  • rispetto al metodo Delphi non è richiesta una convergenza di opinioni e non è neppure necessario stabilire un linguaggio comune

L'Information Pump rappresenta dunque un metodo potenzialmente interessante per stimolare la creatività delle persone rispetto a nuovi concetti/prodotti/servizi.

Bibliografia:

Dahan, E. and Hauser, J. R. (2002) “The virtual customer.”, The Journal of Product Innovation Management, 19:332-353

Matthews, P. C. and Keegan, J. D. and Robson, J. R. (2005) “Development of a simple information pump.”, 15th International Conference on Engineering Design . Melbourne, Australia, 15-18 Aug

Prelec, D. (2001) “A two-person scoring rule for subjective reports.” Technical report, MIT Sloan School of Management

domenica 15 febbraio 2009

Simulazioni di mercato: prediction market vs preference market

Le simulazioni di mercato che si pongono l’obiettivo di studiare le preferenze dei consumatori si suddividono in 2 tipologie distinte: prediction markets da un lato, preference markets dall’altro.

Entrambe queste tipologie di simulazione vengono utilizzate per stimare le preferenze attuali di un target rispetto a degli stimoli (candidati alle elezioni, prodotti, ecc…) ma anche per prevedere eventi futuri basandosi sulla convergenza del prezzo di mercato verso un valore condiviso (Dahan et al. 2008) sulla cosidetta wisdom of crowds (cioè la saggezza popolare descritta da Surowiecki 2004); è interessante analizzare come ciascuna di esse possieda alcuni caratteri distintivi.

Il prediction market (ad esempio Berg, Nelson and Rietz, 2008) è una metodologia che viene utilizzata per prevedere con largo anticipo degli accadimenti futuri. I titoli scambiati all’interno di un prediction market rispecchiano la probabilità che un evento accada (ad esempio: che il candidato X venga eletto alla carica Y, oppure che il partito Z superi alle elezioni amministrative la soglia di W di voti, o ancora che entro un anno dal lancio il prodotto A venda almeno B unità, ecc…). Più alto risulta essere il prezzo del titolo, più è probabile che l’evento che si intende prevedere accada realmente. Esempi di prediction markets sono gli Iowa Electronic Markets (http://www.biz.uiowa.edu/iem/) , l’Hollywood Stock Exchange (http://www.hsx.com/) ed il Foresight Exchange (http://www.ideosphere.com/fx/)

Il preference market (ad esempio Dahan, Soukhoroukova and Spann, 2007) è invece un approccio utilizzato per studiare le preferenze attuali degli appartenenti ad un determinato target rispetto a più alternative possibili (ad esempio: concetti o funzionalità di prodotto, design alternativi, possibili candidati alle prossime elezioni, ecc…). Anche in questo caso più elevato è il valore che un titolo raggiunge durante la contrattazione, maggiori sono i favori nei confronti di ciò che il titolo rappresenta.

Le differenze sostanziali tra le 2 metodologie possono essere riassunte nei seguenti punti:

=> Tempistica:

  • il prediction market dura nel tempo (solitamente fino al compiersi dell’evento che si intende prevedere)
  • il preference market generalmente si conclude nel giro di pochi minuti (in quanto non è previsto l’influsso di nuove informazioni)

=> Partecipazione/riservatezza:

  • il prediction market è generalmente aperto a tutti coloro che intendono partecipare
  • il preference market è riservato ad un campione ristretto di persone che vengono invitate dal ricercatore

=> Dinamicità:

  • il preference market non prevede l’influsso di nuove informazioni durante l’apertura del mercato stesso
  • il prediction market serve proprio per valutare l’impatto di eventi intermedi (ad esempio il congresso di un partito) sulla probabilità dell’evento futuro (ad esempio l’elezione del candidato di quel partito)

=> Incentivazione:

  • il prediction market è solitamente auto-incentivante in quanto è previsto il pagamento in denaro del controvalore del titolo al momento della chiusura del mercato
  • il preference market generalmente prevede l’assegnazione di un premio correlato al valore del portafoglio titoli posseduto al fine contrattazioni

Prediction market e preference market sono quindi 2 tipologie di simulazioni che possono trovare specifiche applicazioni in funzione del bisogno conoscitivo che si intende soddisfare.

Bibliografia:

Berg, J.E., F. Nelson, T. Rietz (2008) "Prediction market accuracy in the long run",
International Journal of Forecasting, 24, 285–300

Dahan, E., A. Kim, A. Lo, T. Poggio, N. Chan (2008), “Securities Trading of Concepts (STOC)”, MIT, Working Paper

Dahan E., A. Soukhoroukova and M. Spann (2007) "Preference Markets: Organizing Securities Markets for Opinion Surveys with Infinite Scalability", MIT, Working Paper

Surowiecki, J. (2004). The Wisdom of Crowds. New York: Doubleday

domenica 18 gennaio 2009

Securities Trading Of Concepts (STOC): un nuovo metodo per studiare le preferenze dei consumatori

Inizio a postare su questo blog presentando a chi non ne fosse ancora a conoscenza il metodo delle Securities Trading Of Concept (STOC) ideato nel da Ely Dahan, un professore di marketing al Massachusetts Institute of Technology (MIT) assieme ad alcuni colleghi ed ancora in fase di perfezionamento (Dahan et al, 2008).

Di che si tratta? In due parole si tratta di un mercato virtuale e fittizio nel quale al posto delle azioni vengono scambiati dei concetti di prodotto. La logica alla base di questa metodologia di ricerca è che le regole che sono alla base del libero mercato, ed in particolare il principio di efficienza dei mercati, noto come Market Efficiency Hypothesis (Hayes 1945, Fama 1970) ed il modello di comportamento razionale dei mercati, cioè il Rational Expectation Model (Radner 1979, Forsythe and Lundholm 1990) siano applicabili anche simulazioni dove gli oggetti di scambio non siano le azioni di aziende quotate in borsa, le materie prime, le monete, ecc.. ma piuttosto i concetti che descrivono delle soluzioni alternative di nuovi prodotti.

Il meccanismo funziona in modo piuttosto semplice:

(1) si identificano alcuni partecipanti ed a ciascuno di questi si fornisce loro una quantità (solitamente uguale) di denaro (abitualmente virtuale, ma talvolta anche reale) e di “azioni”, cioè di titoli che rappresentano concetti di prodotto.

(2) si inviano i partecipanti a scambiarsi le azioni con l’obiettivo di aumentare il valore del proprio portafoglio (composto dalla somma del valore delle azioni e del denaro contante).

(3) i partecipanti effettuano sia proposte di vendita per azioni possedute che offerte d’acquisto per quelle desiderate, cercando di acquistare azioni sottovalutate e vendere azioni sopravvalutate, basandosi quindi non soltanto sulle proprie valutazioni delle azioni, ma anche e soprattutto su quelle che si presumono essere le altrui valutazioni dei titoli (quindi sull’andamento del mercato)

(4) si interrompono le contrattazioni dopo circa 15-60 minuti di contrattazione e, nel caso siano stato fornito del denaro virtuale, si calcola il valore del portafogli di ciascun partecipante e si premiano il/i partecipante/i il cui portafoglio ha un valore maggiore.

Un esempio del suddetto metodo riportato da Dahan et al (2008) e riguarda alcuni Crossover Utility Vehicles (CUV) i quali sono dei veicoli che offrono le caratteristiche tipiche dei SUV (Sport Utility Vehicles), quindi maggiore capacità di carico ed un utilizzo più sportivo/fuoristrada con consumi più bassi, migliore sicurezza e migliore manovrabilità.

L’esperimento realizzato nel 2001 durante un corso MBA al MIT è consistito nel proporre a 43 studenti 8 CUV: 3 di questi rappresentavano dei veicoli già presenti sul mercato da tempo (BMW X5, Lexus RX300, Mercedes-Benz ML320), 4 erano veicoli appena lanciati sul mercato (Acura MDX, Audi All-Road, Pontiac Aztek, Toyota Highlander) ed 1 era un veicolo non ancora lanciato sul mercato (Buick Rendezvous).

All'inizio del test ad ogni partecipante sono stati forniti 10.000 dollari virtuali e 100 azioni di ciascun veicolo (per un totale di 800 “azioni” cadauno), assieme ad una “scheda” virtuale che descriveva sia le caratteristiche tecniche che quelle estetiche (attraverso delle fotografie) di ciascun veicolo.

Il mercato virtuale duro soltanto circa 15 minuti durante i quali furono registrate 320 transazioni di compravendita di azioni.

Grazie all’analisi dei prezzi finali ma anche all’andamento dei prezzi delle azioni è stato possibile stabilire una classifica di preferenza dei veicoli consentendo ai partecipanti di attribuire la dovuta importanza a quei fattori (estetica, brand image, ecc…) che difficilmente vengono rilevati correttamente attraverso tecniche alternative (quali ad esempio la conjoint analysis).

Allo stesso tempo il metodo STOC rappresenta un’interessante alternativa alle tecniche di analisi delle preferenze più tradizionali dal punto di vista del coinvolgimento degli intervistati, i quali si trovano coinvolti in un sorta di gioco più coinvolgente di un’intervista o della auto-compilazione di un questionario.

Un altro elemento che rende il metodo STOC sicuramente interessante è la capacità di riuscire a gestire in contemporanea un numero anche molto elevato di stimoli alternativi, in quanto per il corretto funzionamento di questo meccanismo non è necessario che tutti i partecipanti prendano atto e valutino tutti i concetti di prodotto, ma bensì è sufficiente che vi sia un rapporto minimo di partecipanti/stimoli (il quale deve essere valutato caso per caso).

Alcuni aspetti relativi al metodo STOC che devono ancora essere perfezionati sono:

(a) la possibilità di estendere l’utilizzo di questo meccanismo di rilevazione anche a target socio-culturali diversi (per ora il metodo è stato testato principalmente con studenti universitari)

(b) la necessità di perfezionare gli strumenti di valutazione del tempo necessario per la chiusura delle contrattazioni, il quale sostanzialmente dipende dal convergere del prezzo di mercato di ciascuna azione verso un valore consensuale

(c) la necessità di controllare gli effetti dell’eccessiva volatilità del prezzo delle singole azioni (ad esempio dovute all’operato di speculatori) grazie a metriche/strumenti di correzione

(d) la necessità di validare dal punto di vista quanto più possibile oggettivo la qualità dei risultati ottenuti mediante questo metodo (ad esempio paragonando le previsioni di vendita con le vendite effettivamente realizzate)

Nel complesso il metodo STOC si propone come valida alternativa alle più classiche tecniche di analisi delle preferenze dei consumatori, consentendo alle aziende di anticipare ed ampliare l’inizio la fase di selezione dei concetti di prodotto.

Metodi simili a STOC sono già stati applicati con successo alla previsione dei risultati elettorali (http://www.biz.uiowa.edu/iem/), alla stima delle vendite dei film (http://www.hsx.com/) ed alla previsione di eventi futuri (http://www.ideosphere.com/fx/).

E’ dunque verosimile che il metodo STOC possa essere impiegato non soltanto nella fase di selezione dei concetti di prodotto ma anche in tutte quelle circostanze dove sia necessario scegliere tra più alternative dove le componenti estetiche ed il brand giocano un ruolo importante (campagne pubblicitarie, test di packaging alternativi, ecc…).

Per ogni approfondimento sul metodo STOC e/o per valutare l’applicabilità del metodo STOC ad un contesto particolare sono a vostra disposizione all’indirizzo email lucameyer@vodafone.it oppure telefonicamente al 339.4950021.

Bibliografia:

Dahan, E., A. Kim, A. Lo, T. Poggio, N. Chan (2008), “Securities Trading of Concepts (STOC)”, MIT, Working Paper

Fama, E. (1970), “Efficient capital markets: A review of theory and empirical work”, Journal of Finance, 25, 383-417

Forsythe, R. & R. Lundholm (1990), “Information aggregation in an experimental market”, Econometrica, 58, 309-347

Hayek, F. (1945), “The Use of Knowledge in Society”, American Economic Review, XXXV, No. 4, September, 519-30

Radner, R. (1979), “Rational expectations equilibrium: Generic existence and the information revealed by prices”, Econometrica, 47, 654-677