lunedì 17 agosto 2009

From Innovation Community to Community Innovation: note su Van Oost, Varhaegh & Oudshoorn (2008)

Oggi vi propongo alcuni concetti estratti da Van Oost, Varhaegh & Oudshoorn (2008) “From Innovation Community to Community Innovation - User-initiated Innovation in Wireless Leiden” Science,Technology, & Human Values, Vol. 20, Nr. 10, Sage Publication.

Si tratta di uno studio realizzato per capire come gli utenti di un prodotto/servizio possono realizzare in completa autonomia lo stesso prodotto/servizio. Il case study proposto è quello della comunità di utenti denominata Wireless Leiden i quali, nell'omonima cittadina olandese, a partire dal 2001 hanno sviluppato un network wireless per l'accesso gratuito ad Internet, utilizzando una infrastruttura informatica (backbone) completamente senza fili (una soluzione giudicata tecnicamente innovativa).

  • Instead of depending on what producers offer them, users increasingly are able to develop what they want themselves (pag. 4)

La base di partenza di molte iniziative di innovazione collaborativa è proprio questa: l'acquisizione della consapevolezza da parte degli utenti di essere in grado di costruire ciò che essi desiderano senza attendere che ciò che essi desiderano venga offerto da qualche azienda.

  • combining lead user analysis with attention for user diversity—among lead users as well as other types of users—is fruitful when it comes to analyzing the innovative agency of users (pag. 5)

Il concetto estende quello dei lead user proposto da Von Hippel (1986). L'idea è quella di sfruttare la diversità presente in tutti gli utenti di un prodotto e non soltanto tra i lead user, i quali rappresentano comunque un punto di riferimento importante per le aziende che intendono innovare.

  • the innovation community can be purely functional but may also fulfill the role of a social (virtual) community providing sociability, support, a sense of belonging, and social identity (pag. 6)

Essenziale dunque non dimenticare il ruolo di socialità, senso di appartenza e di identità sociale offerto anche dalle comunità virtuali di innovazione. Questo tipo di ricompense sono quelle che spesso fanno sì che l'impegno dei singoli sia determinante per il successo dell'intera iniziativa.

  • [Script] reengineering [is] a collective activity. The exchange of information and knowledge [is] not only essential in realizing this lead users’ innovation but also the alignment of different types of knowledge […as] different types of knowledge [is] distributed over more than one person (pag. 12)

In altra parole: non è il singolo individuo che innova, ma ciascuno all'interno della comunità apporta conoscenze e competenze che servono a determinare il risultato finale. Ad esempio una delle competenze importanti è la capacità di ricongiungere diversi tipi di conoscenza specifica a favore di in una soluzione ad un problema specifico.

  • [within the Wireless Leiden project] the “who-builds-decides” rule [was introduced] to prevent endless debates without getting anything done (pag. 16)

Importante stabilire regole per il corretto funzionamento della comunità. Generalmente il principio di fondo rispettato nei progetti peer-to-peer è proprio quello della meritocrazia: chi più realizza più ha diritto di decidere. Vi è generalmente poi una sorta di “steering committee” o comitato di controllo ridotto ad un numero limitato di persone il cui compito è quello di delineare le linee guida del progetto e di controllarne il funzionamento dal punto di vista “macro”.

  • our empirical findings illustrate that the innovation community members perform many more activities [than lead users theorized by von Hippel] (pag. 17/18)

Interessante analizzare quindi la composizione di una comunità in maggior dettaglio rispetto al taglio piuttosto netto proposto da Von Hippel (1986) il quale differenziava lead users dagli altri utenti. Emergono composizioni e ruoli che immagino siano poi riferibili a contesti specifici, ma che in classificano i ruoli degli utenti in modo più articolato.

  • For realizing the growth and stabilization of Wireless Leiden, the diversity of available skills and competencies proved crucial (pag. 18)

La diversità prova dunque di essere ancora una volta alla base dell'innovazione. Una della competenze chiave alla base dell'innovazione collaborativa è sicuramente la capacità di mediare e di fare confluire le differenze all'interno di un progetto comune di successo.

  • the community is part of the innovation itself […] it is inadequate to assume an a priori distinction between the “technical” innovation and the “social” community (pag. 19)

In un contesto collaborativo la componente sociale dell'innovazione è dunque imprescindibile dalla componente tecnologica. Come dire, non vi è soluzione innovativa se le competenze tecnologiche non vengono opportunamente mediate ed integrate dalle abilità sociali che la comunità esprime.


BIBLIOGRAFIA:

Von Hippel, E. (1986) Lead users: A source of novel product concepts. Management Science 32 (7): 791-805.



venerdì 14 agosto 2009

Collaborative innovation: note sul testo di Verona e Prandelli

Leggendo (nuovamente) Verona & Prandelli (2006) Collaborative innovation: marketing e organizzazione per i nuovi prodotti (ed. Carocci) ritrovo alcuni interessanti concetti che ho pensato di riportare e commentare brevemente di seguito.
  • così come l'apprendimento è cognitivamente soffocato dalla cumulatività della conoscenza, l'innovazione è sostanzialmente limitata dalle stesse competenze organizzative di cui si nutrono le imprese (pag. 22)

Mi pare abbastanza ovvio il contrasto tra la capacità espressa dall'azienda nel gestire i propri processi produttivi correnti e l'abilità a stravolgere gli stessi per potere innovare. Mi pare emerga evidente la necessità di “esternalizzare” in qualche modo la funzione di innovazione in modo tale che essa non venga vincolata dalla cultura organizzativa dell'impresa. Ecco dunque un primo fondamentale motivo per aprire l'azienda alla collaborative innovation.

  • diviene fondamentale non tanto l'innovazione in sé, quanto la capacità di fare innovazione. Non tanto la gestione del singolo progetto innovativo, quanto la capacità di gestire un'organizzazione che innova (pag. 39)

Nell'ottica di un economia in continuo mutamento mi pare questa visione divenga sempre più importante. Il paragone che mi viene in mente è quello relativo alla rilevazione della customer satisfaction: da un lato possono essere realizzate delle indagini spot (una tantum) spesso slegate l'una dall'altra; dall'altro è possibile impostare dei veri e propri progetti di monitoraggio continuativo che mettono in relazione aspetti di soddisfazione del cliente con elementi di profittabilità dell'impresa. Due approcci tra di loro alquanto distinti.

  • l'idea di innovazione continua si fonda su un cadenzamento sistematico delle innovazioni (…) ciò non implica sviluppare in modo continuo innovazioni di natura radicale, visti i costi ed il rischio di insuccesso che queste comportano, ma un ricorso a trecentosesanta gradi alle varie tipologie di innovazioni attivabili nel mercato (pag. 40)

Dunque innovazione continua non vuol necessariamente dire innovare continuamente, ma piuttosto predisporre il maggior numero possibile di strumenti perché l'azienda dialoghi in termini innovativi ed in modo continuativo con il mercato. In altri termini si tratta di estendere il sistema di informazione di marketing, aprendolo al maggior numero di stimoli e contaminazioni possibili (tenendo però sempre ben presente la necessità che l'informazione raccolta deve comunque rimanere gestibile).

  • la conoscenza emergente nelle relazioni tra consumatori influenza profondamente le scelte di adozione di nuovi prodotti (pag. 51)

Nulla di apparentemente nuovo sotto il sole: alcuni consumatori provano il nuovo prodotto/servizio prima di altri e ne (s)consigliano il consumo ad altri. L'elemento di assoluta novità che talvolta può sfuggire è che i social network consentono di diffondere sia le opinioni dei consumatori ben oltre i confini geografici e culturali noti nell'era precedente a quella della diffusione di massa di Internet.

  • i segmenti [di mercato] per i quali l'offerta dell'impresa genera un valore superiore rispetto a quella resa disponibile dai concorrenti tenderanno ad essere maggiormente collaborativi (pag. 53)

Il consumatore può infatti scegliere se collaborare a progetti innovativi promossi dalle imprese così come decidere con quali imprese collaborare. Egli/ella tenderà a collaborare a progetti che generano il maggior valore aggiunto per se stesso/a. Questa è generalmente la peculiarità offerta del leader di settore. Dunque essere leader di settore tende a produrre una maggiore volontà di adesione a progetti di collaborazione innovativa da parte dei propri consumatori. Questo atteggiamento è probabilmente correlato anche ad un maggiore livello di soddisfazione e di fidelizzazione espresso dai clienti di aziende leader di settore e rientra all'interno di un circolo virtuoso:

  1. azienda leader di mercato =>

  2. clienti tendenzialmente più soddisfatti e fidelizzati =>

  3. maggiore disponibilità a collaborare per innovare =>

  4. maggiore soddisfazione e fidelizzazione =>

  5. consolidamento posizione dominante dell'impresa

Meno ovvio è dunque il cammino verso la collaborazione innovativa per le aziende che non sono leader di mercato. In questo caso diviene opportuno stimolare la volontà dei clienti a collaborare attraverso attività di comunicazione ed incentivazione mirate.

  • i lead user si sono rivelati fondamentali nei mercati ad alto tasso di coinvolgimento emotivo del cliente (pag. 55)

Ciò accade perché in tali contesti il cliente e meno capace di esprimere razionalmente le proprie preferenze ed i lead user tendono a fungere da trait d'union di fondamentale importanza tra la base di consumatori e l'impresa, aiutando l'azienda a tradurre bisogni ed atteggiamenti inespressi o non articolati esplicitamente in informazione utilizzabile nel processo di sviluppo dei nuovi prodotti.

  • i clienti possono apprezzare e quindi ricercare innovazioni che riducano i costi connessi al processo di acquisto e consumo (pag. 63)

Infatti non bisogna dimenticare che innovare non significa necessariamente creare qualcosa di nuovo, ma talvolta “semplicemente” produrre in modo più efficiente ed economico gli stessi beni/servizi già presenti sul mercato. In questo caso l'innovazione ha un impatto sul conto economico aziendale pur non avendo un impatto diretto sul mercato.

  • tramite la creazione di comunità virtuali di consumo, il Web permette alle aziende di accedere alla dimensione sociale della conoscenza dei consumatori (pag. 71)

La dimensione sociale della conoscenza rappresenta un concetto importante e talvolta sottovalutato. Grazie alle possibilità di interazione offerte dal web 2.0 è infatti sempre più centrale nella realtà dei consumatori la possibilità di esprimere la propria socialità attraverso interazioni virtuali. La conoscenza tecnico/pratica posseduta dai consumatori e manifestata attraverso le interazioni online si integra con una conoscenza di tipo sociale che arricchisce l'output finale, il quale però si presenta commisto delle due componenti e, prima di potere essere utilizzato nei processi innovativi, deve essere opportunamente analizzato e compreso.

  • il senso di appartenenza e di identità comune che viene a consolidarsi all'interno delle comunità virtuali può fortemente potenziare i processi informali di integrazione della conoscenza a livello sociale (pag. 78)

Si generano infatti una serie di relazioni basate sulla fiducia reciproca e sulla condivisione di valori; sono proprio fiducia e condivisione che possono motivare la partecipazione attiva di coloro che aderiscono alle comunità online

  • nei contesti virtuali l'impresa ha […] la possibilità di accedere in maniera sistematica e su ampia scala […] a una conoscenza di consumo di tipo simbolico, di natura sociale, a un livello di codificazione tacito e di ampio respiro (pag. 82)

I meccanismi attraverso i quali accedere ad una tale forma di conoscenza si chiamano comunità virtuali, netnografia, lead users, ecc... Una volta progettati, messi a punto correttamente e gestiti, tali meccanismi possono permanere a lungo nel tempo ed essere utilizzati dall'azienda ripetutamente non soltanto come laboratori di innovazione continuativa, ma anche come sistemi permanenti di feedback di mercato.

  • gran parte dell'utilità per l'utente [di un nuovo servizio] discende dall'esperienza che egli stesso contribuisce a creare nelle sue interazioni con l'azienda al momento dell'erogazione (pag. 86)

L'utente desidera sempre di più essere parte attiva del processo di creazione del valore, non soltanto il mero destinatario di quel processo. I servizi sono sempre meno percepiti come scatole chiuse ed inaccessibili; sono invece sempre più terreno di confronto e di sperimentazione tra fornitori ed utenti dei servizi stessi. Il confine tra fornitore ed utilizzatore del servizio diventa particolarmente labile nelle comunità di consumo virtuali nelle quali spesso una parte degli utilizzatori diventano anche “fornitori” (di alcune componenti) del servizio.

  • gli stessi utenti tendono a giungere a diverse articolazioni del "prodotto ideale" a seconda che sia richiesto loro di aggiungere attributi a un modello base o sottrarre attributi non desiderati alla configurazione più completa possibile (pag. 91)

Mi pare questo sia un'interessante risultato sperimentale. Ci ricorda di quanto sia difficile mappare correttamente il processo mentale che induce il singolo individuo a scegliere un determinato prodotto/servizio.

  • [le comunità virtuali] vengono a costituire un target particolarmente interessante per l'azienda, in quanto risultato di un processo di auto-segmentazione che garantisce elevato coinvolgimento […] nei casi migliori trasformando gli utenti in veri proseliti della propria offerta (pag. 95)

Dunque le comunità virtuali possono/debbono essere utilizzate non soltanto come strumento per l'innovazione ma, più ampiamente, rientrare a pieno ruolo nella strategia di marketing aziendale, soprattutto in quei mercati ed in quegli ambiti dove l'acquisto ed il consumo del prodotto/servizio assume una marcata connotazione sociale.

  • [nell'approccio] open sourcing […] l'impresa viene a beneficiare del forte senso di responsabilità che il singolo [… avverte] nei confronti del gruppo e che lo motiva ad apportare il suo migliore contributo (pag. 113)

Sicuramente il senso di responsabilità verso il (come quello di riconoscenza da parte del) gruppo sono determinanti nel motivare la partecipazione attiva ad iniziative di collaborazione aperta e distribuita. Rappresentano la “moneta” attraverso la quale i collaboratori al progetto spesso si sentono ripagati; sono dunque elementi ai quali riservare un'attenzione del tutto particolare nella progettazione e realizzazione di un qualsiasi progetto open-source.

  • [Ducati ha scoperto che] un numero rilevante dei propri fan trascorre il suo tempo non solo a guidare la propria moto, ma anche a prendersene cura e a personalizzata (pag. 121-122)

Le attività di consumo infatti spesso non si limitano alla mera fruizione/utilizzo del prodotto/servizio, ma consistono anche in forme di personalizzazione del prodotto/servizio stesso. Si pensi ad esempio alle “cover” dei telefoni cellulari, agli interni della propria auto, alla personalizzazione della propria pagina web oppure alla scelta dei canali televisivi selezionabili rapidamente attraverso il telecomando. Si può probabilmente pensare che la personalizzazione del prodotto/servizio sia parte dell'attività di fruizione stessa. Si può anche ipotizzare che esistano desideri di personalizzazione più o meno marcati da parte dei singoli clienti e che questi interagiscano con il grado di coinvolgimento che il singolo consumatore pone in ogni categoria di prodotto: più alto il coinvolgimento con quel prodotto/servizio, più elevato sarà molto probabilmente il desiderio di personalizzare quel prodotto/servizio.

  • La predisposizione di appropriati meccanismi di ricompensa per i partecipanti è un fattore chiave per il coinvolgimento del cliente nell'innovazione (pag. 127)

La necessità di dare qualcosa in cambio ai clienti che spendono tempo ed energie per aiutare l'azienda ad innovare (ma anche, più in generale, a gestire il proprio business) è un aspetto che penso non venga mai stressato a sufficienza. L'occasione di fornire una ricompensa è anche utile a rafforzare la propria brand image presso i clienti che, decidendo di partecipare attivamente ad un'iniziativa aziendale di un certo spessore, si dimostrano essere in qualche modo già “legati” al marchio aziendale. Paradossalmente anche coloro che hanno vissuto un'esperienza negativa ed hanno quindi un atteggiamento tutt'altro che favorevole rispetto all'impresa possono sentire il bisogno di relazionarsi con l'azienda.

  • le aziende sono interessate [alla conoscenza raccolta dai virtual knowledge broker] per almeno due ragioni […da un lato] esse sono vincolate dai loro limiti cognitivi e dalle loro core competence […dall'altro] la loro reach è fisicamente limitata da confini geografici e settoriali (pag. 137)

L'apporto degli innomediari, e cioè degli intermediari dell'innovazione, è importante per superare una serie di confini che ogni azienda tende a stabilire intorno a se, siano esse barriere operative, geografiche oppure culturali: l'impresa necessità di spaziare oltre i propri limiti per riuscire a carpire delle opportunità altrimenti irraggiungibili per potere innescare un processo di cross-fertilizzazione che più facilmente porta alla concretizzazione di idee innovative.

  • oggi [è] una scelta imprescindibile per molte aziende lo sviluppo di canali di comunicazione interattiva con e tra i propri clienti (pag. 143)

Dunque la questione non si pone più in termini di “se” gestire un numero crescente di interazioni con i propri clienti, ma piuttosto “come” gestire tali interazioni. Nello specifico la comunicazione azienda <=> cliente avviene sempre più in tutte e 4 le possibili direzioni: azienda=>azienda (comunicazioni interne), azienda=>cliente (promozioni, offerte, risposte alle richieste, ecc), cliente=>azienda (richieste di informazioni, richieste di assistenza, feedback spontanei, feedback sollecitati, ecc) e cliente=>cliente (scambi di opinioni ed esperienze, richieste di assistenza, ecc).

  • Le comunità virtuali hanno un'origine e una natura sociale, prima ancora che economico-produttiva […] basata sulla condivisione di risorse di natura cognitiva, emozionale o materiale

Diversamente non sarebbe possibile il livello di condivisione e di “produttività” creativa che le comunità spesso garantiscono. Altre forme di aggregazione più “semplici” sono i network, i quali presentano legami tra i membri duraturi nel tempo ma non sottointese da profondo interesse comune, una cultura condivisa ed un'identità legittimata dal gruppo (Sawhley & Prandelli, 2000). Quindi fare comunità vuol dire creare senso di appartenenza, stimolare la partecipazione attiva, favorire la formazione di relazioni personali tra i partecipanti, facilitare la diffusione di un clima di fiducia e collaborazione reciproca tra i membri, delineare le regole ed i confini di appartenenza alla comunità, ecc....

  • [le comunità di pratica sono] volte a favorire la socializzazione delle esperienze maturate dai loro membri […] al fine di creare conoscenza condivisa, favorirne il riutilizzo e la sedimentazione nel tempo (pag. 147)

Tra le varie forme di comunità quella di pratica mi pare rappresenti un primo interessante passo verso l'innovazione. I due obiettivi fondamentali di questo tipo di comunità sono quelli di socializzare e di condividere la conoscenza. La socializzazione consente il diffondersi di un clima di fiducia e collaborazione, mentre la condivisione delle conoscenza è alla base dei meccanismi di creazione delle nuove idee. Importante anche l'aspetto di permanenza delle interazioni nel tempo, aspetto utile come riferimento continuo alle esperienze ed alla conoscenza aziendale già maturata e potenzialmente utile in futuro.

  • Le funzioni fondamentali di una comunità virtuale di consumo […sono] aggregazione della domanda su scala globale; analisi di mercato; intensificazione dei flussi di comunicazione con e tra i consumatori; co-definizione dei valori associati al brand aziendale; fidelizzazione degli utenti (pag. 151)

L'adozione di una comunità virtuale di consumo richiede dunque una ritrutturazione piuttosto significativa delle funzioni aziendali, ed in particolare del marketing. In particolare non siamo più in uno scenario marketing 1.0 dove l'azienda periodicamente offre i propri prodotti/servizi comunicandone i benefici ad un mercato target e periodicamente raccoglie i feedback del mercato stesso; nel marketing 2.0 la mappa ed i contenuti delle comunicazioni si complica sostanzialmente, ogni singolo partecipante al mercato può virtualmente comunicare con ogni altro partecipante a costi contenuti (spesso pressoché nulli); sia i bisogni che le alternative per soddisfarli divengono più fluide, e l'azienda si trova a fronteggiare crescenti difficoltà nel condizionare i comportamenti del mercato secondo la propria volontà.

  • [le comunità virtuali servono anche per definire i] valori associati ai marchi dell'impresa in un'ottica sempre più collaborativa […in quanto] all'interno della comunità si innesca una sorta di negoziazione tra […] significati (pag. 155)

Cosa rappresenta un determinato marchio? In passato era principalmente la comunicazione aziendale a definire il significato da associare al marchio; oggi è sempre più l'interazione tra coloro che acquistano, utilizzano e/o promuovono il marchio a definire i valori del brand. Ad esempio, il teenager che in passato utilizzava il gruppo dei pari (scuola, amici, ecc) come “laboratorio” di elaborazione del significato da attribuirsi alla marca di abbigliamento X, oggi ha anche la possibilità di venire in contatto (rapidamente ed a costi pressoché nulli) con altri teenager in tutto il mondo, scambiare con loro contenuti multimediali, essere cittadino del cyberspazio e di conseguenza molto probabilmente attribuire significati diversi alla marca X.

  • La fiducia nei confronti degli altri membri della comunità […] è […] influenzata da […] l'esistenza di opportuni meccamismi di validazione delle informazioni […e] dalla bontà del contributo che il singolo di volta in volta riceve dagli altri membri della comunità (pag. 160)

Per funzionare al meglio le comunità (virtuali) devono in qualche misura autogestirsi, definendo non soltanto i meccanismi di valutazione dei singoli contributi/partecipanti, ma anche le regole di partecipazione e le relazioni con l'eventuale azienda sponsor, ivi compresi eventuali pay-off per coloro che contribuiscono attivamente al benessere della comunità (e di conseguenza dell'azienda). Il meccanismo di sanzione rispetto ai partecipanti e/o alle aziende che non rispettano le regole di adesione alla comunità è spesso implicito ma non per questo meno efficace.

  • Il controllo monopolistico della conoscenza […] e i profitti che ne derivano rappresentano una perdita per la società, causata dal mancato possibile utilizzo della stessa (pag. 190)

Interessante concetto macroeconomico che sta alla base dello svilippo dell'Open Source Software e della General Public License. In questo contesto, l'azienda produttrice di software che desidera rimanere concorrenziale deve necessariamente considerare la sfida posta dal mercato open source; un possibile modello di business in questo senso è quello di offrire supporto, assistenza tecnica e consulenza agli utenti di software open source non (pienamente) in grado di integrare l'applicativo nei propri processi produttivi e gestionali.

  • a specifiche condizioni - ad esempio attraverso la diffusione dell'innovazione per beneficiare degli effetti di rete - rendere disponibile senza restrizioni l'innovazione può portare a un guadagno netto in termini di profitto (pag. 192)

Altro concetto decisamente interessante ed....innovativo! Il brevetto è solitamente costoso e lungo da ottenere, ed allo stesso tempo brevettando si rischia che il brevetto venga superato o migliorato nel giro di breve, per cui talvolta ha realmente senso pensare di ottenere dei profitti rendendo liberamente disponibile sul mercato l'innovazione ed offrendo dei servizi utili per implementare/adattare l'innovazione.

  • chi più mette a disposizione il proprio supporto per aiutare gli altri è anche più facilmente […] in grado di contribuire all'innovazione (pag. 199)

All'interno delle comunità virtuali si instaura infatti un meccanismo virtuoso che tende ad autoalimentare ed automotivare la partecipazione di alcuni “attivisti” rispetto agli altri. Costoro non soltanto beneficiano della reputazione che si sono creati all'interno della comunità, ma generano sempre più contributi ed idee a beneficio degli altri. Dunque in ogni comunità virtuale è possibile evidenziare alcuni “lead user” che più di altri partecipano, innovano, gestiscono la comunità ed accrescono la propria reputazione. Gli stessi individui sono quelli che generalmente risultano più utili per l'azienda intenzionata ad innovare.


BIBLIOGRAFIA:

Sawhney M. & Prandelli E. (2000) Communities of Creation: Managing Distributed Innovation in Turbulent Markets, California Management Review, 42/4, pp. 24-54