venerdì 28 gennaio 2011

Eliciting Preference for Complex Products: A Web-Based Upgrading Method - note sull'articolo di Park, Ding & Rao del 2008

Questa settimana il focus della mia lettura si è concentrato su il recente metodo dell’upgrading adatto per l’analisi delle preferenze dei consumatori in relazione a categorie di prodotti complessi (quali ad esempio le automobili, i cellulari, i personal computer, le macchine fotografiche digitali o comunque tutti quei prodotti con molti attributi e molti livelli) proposto da Ding, Park e Rao nel 2008.


Il metodo dell’upgrading si basa sull’analisi delle scelte effettuate dai partecipanti all’esperimento nel tentativo di migliorare la configurazione basilare di un prodotto complesso (al quale male si adatterebbe la conjoint analysis classica a causa dell’elevato numero di profili da valutare) e viene paragonato dagli autori al più classico e consolidato metodo self-explicated.


Le linee guida adottate dagli autori nella ricerca di una procedura alternativa al metodo self-explicated sono state le seguenti:

  • diminuire l’impatto delle caratteristiche limitanti del metodo self-explicated, quali ad esempio l’incapacità di rilevare correttamente funzioni non lineari nell’importanza dei livelli degli attributi del prodotto e la maggiore tendenza dei partecipanti a conformarsi a criteri di accettabilità sociale
  • ovviare alla mancanza di una strategia di incentivazione dei partecipanti che premi in modo differenziale l’impegno profuso da ciascuno di essi
  • proporre una soluzione di facile comprensione che limiti allo stretto necessario l’impegno dei partecipanti


Il metodo dell’upgrading funziona nel seguente modo:

  • a ciascuna partecipante viene fornita una configurazione di base del prodotto da valutare (ad esempio un’automobile con 5 porte, marca Renault, cilindrata 1.500 cmc, ecc…) ed una somma di denaro per potere migliorare la configurazione del prodotto (ad esempio 5.000 Euro)
  • alla partecipante viene chiesto di indicare quale attributo del prodotto intende migliorare per primo (ad esempio la cilindrata) e qual è/quali sono, tra i livelli proposti, quello/i che ella intende adottare (ad esempio 2.000 e 2.500 cmc)
  • alla partecipante viene chiesto di precisare quale somma di denaro è disposta a spendere per ottenere ciascuno dei livelli che intende adottare (ad esempio 1.000 Euro per 2.000 cmc e 1.500 Euro per 2.500 cmc)
  • viene utilizzato un algoritmo proposto da Becker, DeGroot e Marschak (BDM) nel 1964 per definire quali attributi possono essere effettivamente migliorati ed assicurarsi che la partecipante esprima la sua reale volontà. La procedura BDM seleziona un numero casuale partendo da una distribuzione uniforme nella gamma di tutte le possibili somme di denaro espresse per un particolare livello, quindi:

a. se la somma di denaro offerta dal/la partecipante è superiore al valore casuale è possibile aggiornare l’attributo al livello prescelto

b. viceversa, se il valore estratto è superiore alla somma di denaro offerta l’attributo non può essere aggiornato a quel livello

Ciò significa che se un determinato livello (ad esempio 2.500 cmc) di un certo attributo (ad esempio cilindrata) è particolarmente desiderato dal/la partecipante questi sarà incentivato/a ad offrire una porzione più elevata del budget a sua disposizione per migliorare il prodotto in modo da aumentare le probabilità di aggiudicarsi quella caratteristica. Contrariamente, se un livello (ad esempio 2.000 cmc) di un attributo (ad esempio cilindrata) risulta essere meno desiderato (seppur alternativo ad uno più desiderato) allora la/il partecipante sarà incentivato/a ad offrire una porzione meno elevata del budget a sua disposizione per aggiudicarsi tale caratteristica

  • un algoritmo sceglie in modo casuale tra i livelli che risultano migliorabili a seguito della procedura BDM quelli che verranno effettivamente inseriti nella nuova configurazione
  • i 4 precedenti passaggi vengono ripetuti per tutti gli attributi del prodotto che la partecipante intende migliorare rispetto alla configurazione di base (ad esempio marca, consumi e numero di portiere)
  • una partecipante sull’insieme di tutti i partecipanti viene estratta per ricevere in omaggio il prodotto finale configurato
  • un modello logit di tipo gerarchico bayesiano con effetti casuali viene utilizzato per stimare l’importanza relativa degli attributi e dei livelli per ciascun/a partecipante


Rispetto al metodo self-explicated, il metodo upgrading fornisce dei risultati migliori in termini di capacità predittiva delle scelte effettuate dai partecipanti su un set di profili di prodotto indipendenti.

Alcune delle limitazioni del metodo upgrading che vengono evidenziate dagli autori sono le seguenti:

  • la fornitura di un ammontare di denaro da spendere ad inizio esperimento, se da un lato consente di limitare le risorse a disposizione della partecipante, dall’altro può modificare la sensibilità al prezzo della stessa. Inoltre – aggiungo io – la partecipante potrebbe decidere di adottare una strategia di risparmio in quanto il meccanismo prevede che, in caso di vincita, ella riceva il prodotto configurato più la differenza tra una cifra definita ed il prezzo del prodotto stesso; in tal senso la partecipante potrebbe decidere di limitare le proprie azioni migliorative sul prodotto e quindi risparmiare per ricevere una somma in denaro più elevata
  • il modello di analisi proposto dagli autori non tiene conto anche della sequenza di attributi migliorati, ma è molto probabile che il primo attributo che la partecipante intende migliorare è anche quello più importante
  • non è ovvio quali siano i livelli meno preferiti (cioè da inserire nella configurazione basilare) per gli attributi senza un ordinamento implicito (ad esempio il colore della carrozzeria di un’automobile)
  • nel metodo proposto è soltanto possibile migliorare un attributo del prodotto alla volta, mentre potrebbe essere interessante studiare le possibili interazioni tra gli attributi in modo da consentire il miglioramento di più attributi (i cosiddetti super-attributi) nella medesima azione
  • anche se il metodo self-explicated rappresenta uno standard nella valutazione delle preferenze dei consumatori per prodotti complessi esistono altri metodi che presentano caratteristiche interessanti le cui performance dovrebbero essere paragonate a quelle dell’upgrading.


Bibliografia:


Young-Hoon Park, Min Ding, and Vithala R. Rao (2008) Eliciting Preference for Complex Products: A Web-Based Upgrading Method, Journal of Marketing Research, Volume 45, Number 5, October 2008.

giovedì 20 gennaio 2011

Measuring Consumer Preferences Using Conjoint Poker - note sul paper di Toubia, Stieger, de Jong & Fueller (2009)

Riprendo a condividere alcune evidenze derivanti dal materiale che sto studiando. Oggi mi focalizzo sul conjoint poker, una tecnica proposta da Toubia, Stieger, de Jong & Fueller in un paper datato 2009:

  • il problema che si pongono i ricercatori è quello del coinvolgimento dei partecipanti ad esperimenti di conjoint analysis e della misurazione dello stesso al fine di rendere più affidabili le stime delle utilità degli attributi che compongono i profili valutati; in altre parole la questione è come sia possibile misurare l'attenzione di (e di conseguenza la qualità del dato fornito da) ciascun partecipante ad esperimenti di conjoint analysis

  • il Conjoint Poker da un lato utilizza incentivi per motivare la partecipazione attenta all'esperimento e dall'altro misura l'attenzione prestata da ciascun partecipante

  • l'obiettivo finale è quello di ponderare la stima aggregata su tutto il campione delle utilità degli attributi alla base del disegno sperimentale con una misura di attenzione di ciascun partecipante

  • la metodologia si basa sul gioco del poker classico (in inglese “Texas hol'em”) ma invece di utilizzare carte definite da 2 attributi, cioé colore (4 livelli) e numeri (13 livelli), vengono utilizzati attributi e livelli caratterizzanti il prodotto/servizio che si intende valutare

  • a ciascun partecipante vengono distribuite 7 carte (di cui 5 in comune tra tutti), ciascuna descrittiva di un profilo del prodotto/servizio da valutare

  • al/la partecipante viene quindi chiesto di (a) scegliere le 5 carte che compongono la mano e (b) indicare quali tra queste rappresenta il prodotto/servizio preferito, cioé quello che potrà ottenere in omaggio se (1) vincerà la mano e (2) la mano sarà quella selezionata tra tutte quelle giocate

  • la strategia di gioco adottata dai partecipanti non sarà dunque quella di inserire nella mano sempre la carta preferita (in quanto ciò potrebbe portare ad una mano “debole”) e neppure quella di scegliere sempre la mano più forte (poiché questa potrebbe non contenere il profilo preferito), ma piuttosto quella di adottare un giusto equilibrio tra le due suddette alternative

  • la misurazione dell'attenzione di ciascun partecipante è definita dalla percentuale di mani “dominate” scelte dal partecipante stesso, intendendo per “dominata” quella nella quale sarebbe stato possibile scegliere un'altra mano che comprenda il prodotto/servizio preferito ed ottenere una mano più forte; ad esempio, supponendo che vi sia la possibilità di giocare un poker (4 carte con lo stesso livello nello stesso attributo) oppure un full (3 carte con lo stesso livello nello stesso attributo più 2 carte con un'altro ma uguale livello nello stesso attributo) e che la carta preferita sia parte sia del poker che del full, giocare il full invece del poker rappresenta una strategia dominata

  • se si ipotizza che il partecipante si comporti in modo razionale, il prodotto/servizio preferito in una mano non lo è soltanto delle altre 4 carte costituenti la mano stessa, ma anche delle carte costituenti altre mani di uguale o maggiore forza, quindi la matrice informativa può essere estesa oltre le 5 carte scelte per la mano

  • utilizzando una procedura gerarchica di Bayes mediante catene di Markow e metodo Monte Carlo è possibile stimare le utilità sottostanti le scelte dei partecipanti

  • i ricercatori, paragonando la radice della media del quadrato dello scarto (Root Mean Squared Error) tra le percentuali di scelta di ciascuno di 10 profili (selezionati e sottoposti a ciascun partecipante prima dell'esercizio di Conjoint Poker) e quelle stimate dal modello, concludono che, a parità di sistema di incentivazione, il metodo di ponderazione derivante dall'esperimento di Conjoint Poker restituisce un dato più attendibile rispetto alla più classica Choice-Based Conjoint ed ad alcune varianti di entrambi i metodi

Concludendo, anche se il metodo del Conjoint Poker sembra fornire una prospettiva interessante per potere aumentare la qualità delle stime nell'ambito della conjoint analysis, è possibile individuare spazio per apportare alcune migliorie al metodo stesso, in particolare per quanto riguarda:

  • casi nei quali è presente eterogeneità nella struttura di preferenze espresse dal campione rispetto all'utilità di ciascuno degli attributi del prodotto/servizio da valutare

  • la possibilità di efficientare i disegni sperimentali alla base del Conjoint Poker

  • l'effetto derivante dalla sociabilità che potrebbe instaurarsi nel momento in cui il Conjoint Poker venga “giocato” contro altri partecipanti e non contro il computer (come è il caso in questo esperimento)

  • il trattamento dei dati provenienti dai partecipanti meno attenti (fenomeno che tra l'altro è stato dimostrato in questo esperimento non essere correlato alla conoscenza delle regole del gioco stesso)

  • la verifica di regole/meccanismi di gioco alternativi sulla qualità del dato derivato

Bibliografia:

Toubia, Stieger, de Jong & Fueller (2009) Measuring Consumer Preferences Using Conjoint Poker – Working Paper

domenica 18 ottobre 2009

Polyhedral Methods for Adaptive Choice-Based Conjoint Analysis: note su paper di Toubia, Hauser & Simester (2003)

Ho letto un'altro paper sul polyhedral adaptive question design ed analytic center estimation (collegato al precedente che ho letto a luglio), questa volta applicato alla choice-based conjoint. Alcuni elementi interessanti di quel paper sono:
  • il metodo proposto, denominato polyhedral adaptive choice-based conjoint analysis, consente di personalizzare le alternative presenti all'interno di un questionario basato sui set di scelta (choice sets, quindi domande del tipo: “quale tra questi ipotetici prodotti acquisteresti?”) in funzione delle risposte date dall'intervistato/a ai set di scelta precedenti; ad esempio, se al primo set di scelta l'intervistata X sceglie l'alternativa 1 invece della 2 o della 3 le alternative che le verranno proposte al set di scelta successivo saranno diverse da quelle proposte all'intervistato Y (il quale al primo set ha preferito l'alternativa 3), e così via per tutti i set di scelta successivi
  • il metodo si differenzia dall'aggregate customization in quanto quest'ultima basa la scelta delle alternative da proporre agli/alle intervistati/e all'interno di uno specifico set di scelta sulla distribuzione delle risposte fornite da altri intervistati/e e non necessariamente dall'intervistato/a stesso/a
  • l'obiettivo del metodo proposto in questo paper è quello di ridurre il più rapidamente possibile la gamma di parametri consistenti con le scelte operate dell'intervistato/a fino a quel momento
  • viene ricordato al lettore che è possibile migliorare l'efficienza del metodo di stima noto come Hierarchical Bayes attraverso le procedure di inversione, sostituzione e rietichettatura delle alternative presenti in ciascun set di scelta (procedure sviluppate da Huber e Zwerina e note come swapping, cycling e relabeling)
  • grazie ai principi di non-dominanza, fattibilità, bilanciamento delle scelte e simmetria rispettati dall'algoritmo proposto per l'adaptive polyhedral choice-based question design è possibile ridurre rapidamente lo spazio entro il quale le utilità relative agli attributi ed ai livelli del prodotto/servizio testato ed espresse da ciascun/a intervistato/a possono essere circoscritte, definendone così i valori
  • viene suggerita al lettore la possibilità di migliorare la precisione delle stime ottenute mediante il metodo dell'Analytic Center utilizzando dati che provengono dalla distibuzione dei parametri di utilità riferiti all'intera popolazione
  • è possibile stimare l'utilità relativa di scelte che appaiono in set di scelta diversi mediante l'impiego dell'alternativa di scelta nulla (o non-scelta). Se per un set di scelta viene preferita la scelta nulla è probabile che tutte le alternative proposte abbiano un'utilità inferiore a quella di un'alternativa scelta in un set precedente (ovviamente diversa dalla scelta nulla); ad esempio, se scelgo il profilo 1 invece del profilo 2 nel set A, e poi scelgo il profilo nullo nel seguente set B invece dei profili 3 oppure 4, allora è possibile ipotizzare che io attribuisca un'utilità maggiore al profilo 1 non soltanto rispetto al profilo 2, ma anche al 3 ed al 4
  • viene anche ricordato al lettore che nell'ambito di un modello di tipo logit parametri con valori elevati indicano ad una maggiore precisione della stima in quanto la varianza della distribuzione di Gumbel (la quale sottointende il modello logit) è inversamente proporzionale al quadrato della stima dei parametri; in altre parole tanto più grandi saranno le stime delle utilità, tanto più precise (= minore varianza) esse risulteranno
  • viene inoltre suggerito al lettore che i designi sperimentali ortogonali nell'ambito della choice-based conjoint sono ottimali soltanto quando i parametri da stimare sono uguali a zero. Nel caso in cui i parametri siano maggiori di zero il disegno sperimentale ortogonale non è ottimale
  • quando i dati a disposizione contengono molti errori di risposta il polyhedral question design non funziona correttamente, mentre ha una buona performance nel caso vi siano preferenze eterogenee; detto in altri termini: dove l'eterogeneità è elevata conviene personalizzare utilizzando il polyhedral question design, dove invece vi sono errori di risposta consistenti la personalizzazione rischia di non funzionare correttamente e conviene quindi utilizzare il disegno ortogonale fisso
  • l'esperimento condotto dagli autori ha dimostrato che gli intervistati possono gestire tranquillamente fino a 12 esercizi (set) di scelta tra più alternative
  • la scelta accurata delle alternative da inserire in ciascun esercizio (set) ha il potenziale di aumentare la precisione dei dati e ridurre i costi di sperimentazione; questo perché consente di ridurre il numero di intervistati/e e/o diminuire il numero di domande da porre a ciascun intervistato/a
Per chi fosse interessato/a ad approfondire l'argomento il link alla pagina dalla quale è possibile scaricare gratuitamente il paper è il seguente: http://papers.ssrn.com/sol3/Delivery.cfm/SSRN_ID382380_code030224590.pdf?abstractid=382380&mirid=1

sabato 3 ottobre 2009

TesiCamp: neo laureati & innovazione digitale

Un'occasione per i neo laureati e laureandi che stanno facendo una tesi sull'innovazione digitale: http://www.tesicamp.org/196/

sabato 5 settembre 2009

Lead users and the adoption and diffusion of new products: note su working paper di Schreier, Oberhauser & Prügl (2007)


Rileggendo alcuni concetti chiave che ho estratto da alcuni paper oggi vi propongo alcune riflessioni a partire da alcune evidenze proposte nel working paper di Schreier, Oberhauser & Prügl (2007) “Lead users and the adoption and diffusion of new products - Insights from two extreme sports communities” che ho scaricato dal sito dell'Institute for Entrepreneurship and Innovation della Vienna University of Economics and Business Administration (verificato il 17 agosto 2009): http://www.wu.ac.at/entrep/downloads/publikationen/ml_working_paper.pdf
  • lead users might not only play an important role in the development but also in the adoption and diffusion of new consumer products (pag. 2)
Questo perché, secondo gli autori di questa ricerca, la tendenza ad essere un lead user sembrerebbe essere associata alla propensione ad essere un opinion leader e quindi ad influenzare i comportamenti d'acquisto di altre persone.
  • The greater [the perceived complexity of an innovation], the slower the rate of adoption [of the same innovation] will be (pag. 7)
Ecco un motivo per il quale i lead user possono assistere le aziende nei processi di adozione delle innovazioni: più queste sono percepite come complesse, meno rapida sarà la loro adozione da parte del mercato perché di più difficile comprensione. Ma...
  • consumers’ leading-edge status is significantly related to the perceived complexity of new products […] For lead users, the bow kite thus seems to be significantly less “complex” (pag. 14)
I lead user sono proprio quelle persone che hanno più dimestichezza con la complessità e che meglio riescono ad interpretarla ed a semplificarla a favore degli altri, favorendone la diffusione.
  • a number of users not only “correctly” addressed the benefits as originally intended and marketed by the manufacturers of the bow kite [...] They also found a completely new benefit or application of the concept (pag. 15)
Trovo questo concetto sia fondamentale per comprendere l'innovazione generata dai lead user. Costoro non si limitano ad utilizzare il prodotto in modo convenzionale per soddisfare quei bisogni sulla base dei quali il prodotto è stato pensato ed ideato; i lead user sperimentano bisogni e soluzioni completamente nuove, non pensate da chi ha ideato e concepito il prodotto.
  • consumers’ leading-edge status is negatively and significantly related to opinion seeking (pag. 15)
Dunque un lead user tende a non ricercare l'opinione di altri per orientare i prori consumi ma piuttosto è lui/lei che fornisce ad altri indicazioni su come scegliere; questo ovviamente non in generale ma soltanto nell'ambito specifico nel quale egli/ella tende ad assumere comportamenti di lead usage.
  • Overall, lead users might represent a richer and more comprehensive source for new product management than early adopters (pag. 17)
Infatti i lead users tendono a conoscere meglio degli early adopter la soluzione/tecnologia alla base dell'innovazione e quindi possono, oltre che servire da collaboratori nel processo di sviluppo dei nuovi prodotti, anche fungere da elemento di collegamento tra l'offerta aziendale e la domanda del mercato.
  • The reasons why early adopters tend to buy new products faster than others have been found to be independent of the specific needs a new product aims to fulfill […] thus hardly provide concrete directions for new product development (pag. 17)
Esistono in effetti persone che tendono ad acquistare per primi una nuovo prodotto non necessariamente perché altamente interessati e coinvolti con la nuova soluzione/tecnologia, ma per il piacere di essere i primi ad utilizzare (e specialmente a mostrare ad altri) la novità, mettendo in risalto dunque non tanto la propria esperienza e dedizione verso un prodotto/settore quanto una sorta di desiderio esibizionistico.

Le aziende interessate a promuovere, attraverso attività di word-of-mouth un nuovo prodotto dovrebbero quindi essere attente a comunicare adeguatamente con i lead users cercando di coinvolgerli anche in attività di promozione dell'innovazione alla creazione della quale essi hanno collaborato.

lunedì 17 agosto 2009

From Innovation Community to Community Innovation: note su Van Oost, Varhaegh & Oudshoorn (2008)

Oggi vi propongo alcuni concetti estratti da Van Oost, Varhaegh & Oudshoorn (2008) “From Innovation Community to Community Innovation - User-initiated Innovation in Wireless Leiden” Science,Technology, & Human Values, Vol. 20, Nr. 10, Sage Publication.

Si tratta di uno studio realizzato per capire come gli utenti di un prodotto/servizio possono realizzare in completa autonomia lo stesso prodotto/servizio. Il case study proposto è quello della comunità di utenti denominata Wireless Leiden i quali, nell'omonima cittadina olandese, a partire dal 2001 hanno sviluppato un network wireless per l'accesso gratuito ad Internet, utilizzando una infrastruttura informatica (backbone) completamente senza fili (una soluzione giudicata tecnicamente innovativa).

  • Instead of depending on what producers offer them, users increasingly are able to develop what they want themselves (pag. 4)

La base di partenza di molte iniziative di innovazione collaborativa è proprio questa: l'acquisizione della consapevolezza da parte degli utenti di essere in grado di costruire ciò che essi desiderano senza attendere che ciò che essi desiderano venga offerto da qualche azienda.

  • combining lead user analysis with attention for user diversity—among lead users as well as other types of users—is fruitful when it comes to analyzing the innovative agency of users (pag. 5)

Il concetto estende quello dei lead user proposto da Von Hippel (1986). L'idea è quella di sfruttare la diversità presente in tutti gli utenti di un prodotto e non soltanto tra i lead user, i quali rappresentano comunque un punto di riferimento importante per le aziende che intendono innovare.

  • the innovation community can be purely functional but may also fulfill the role of a social (virtual) community providing sociability, support, a sense of belonging, and social identity (pag. 6)

Essenziale dunque non dimenticare il ruolo di socialità, senso di appartenza e di identità sociale offerto anche dalle comunità virtuali di innovazione. Questo tipo di ricompense sono quelle che spesso fanno sì che l'impegno dei singoli sia determinante per il successo dell'intera iniziativa.

  • [Script] reengineering [is] a collective activity. The exchange of information and knowledge [is] not only essential in realizing this lead users’ innovation but also the alignment of different types of knowledge […as] different types of knowledge [is] distributed over more than one person (pag. 12)

In altra parole: non è il singolo individuo che innova, ma ciascuno all'interno della comunità apporta conoscenze e competenze che servono a determinare il risultato finale. Ad esempio una delle competenze importanti è la capacità di ricongiungere diversi tipi di conoscenza specifica a favore di in una soluzione ad un problema specifico.

  • [within the Wireless Leiden project] the “who-builds-decides” rule [was introduced] to prevent endless debates without getting anything done (pag. 16)

Importante stabilire regole per il corretto funzionamento della comunità. Generalmente il principio di fondo rispettato nei progetti peer-to-peer è proprio quello della meritocrazia: chi più realizza più ha diritto di decidere. Vi è generalmente poi una sorta di “steering committee” o comitato di controllo ridotto ad un numero limitato di persone il cui compito è quello di delineare le linee guida del progetto e di controllarne il funzionamento dal punto di vista “macro”.

  • our empirical findings illustrate that the innovation community members perform many more activities [than lead users theorized by von Hippel] (pag. 17/18)

Interessante analizzare quindi la composizione di una comunità in maggior dettaglio rispetto al taglio piuttosto netto proposto da Von Hippel (1986) il quale differenziava lead users dagli altri utenti. Emergono composizioni e ruoli che immagino siano poi riferibili a contesti specifici, ma che in classificano i ruoli degli utenti in modo più articolato.

  • For realizing the growth and stabilization of Wireless Leiden, the diversity of available skills and competencies proved crucial (pag. 18)

La diversità prova dunque di essere ancora una volta alla base dell'innovazione. Una della competenze chiave alla base dell'innovazione collaborativa è sicuramente la capacità di mediare e di fare confluire le differenze all'interno di un progetto comune di successo.

  • the community is part of the innovation itself […] it is inadequate to assume an a priori distinction between the “technical” innovation and the “social” community (pag. 19)

In un contesto collaborativo la componente sociale dell'innovazione è dunque imprescindibile dalla componente tecnologica. Come dire, non vi è soluzione innovativa se le competenze tecnologiche non vengono opportunamente mediate ed integrate dalle abilità sociali che la comunità esprime.


BIBLIOGRAFIA:

Von Hippel, E. (1986) Lead users: A source of novel product concepts. Management Science 32 (7): 791-805.



venerdì 14 agosto 2009

Collaborative innovation: note sul testo di Verona e Prandelli

Leggendo (nuovamente) Verona & Prandelli (2006) Collaborative innovation: marketing e organizzazione per i nuovi prodotti (ed. Carocci) ritrovo alcuni interessanti concetti che ho pensato di riportare e commentare brevemente di seguito.
  • così come l'apprendimento è cognitivamente soffocato dalla cumulatività della conoscenza, l'innovazione è sostanzialmente limitata dalle stesse competenze organizzative di cui si nutrono le imprese (pag. 22)

Mi pare abbastanza ovvio il contrasto tra la capacità espressa dall'azienda nel gestire i propri processi produttivi correnti e l'abilità a stravolgere gli stessi per potere innovare. Mi pare emerga evidente la necessità di “esternalizzare” in qualche modo la funzione di innovazione in modo tale che essa non venga vincolata dalla cultura organizzativa dell'impresa. Ecco dunque un primo fondamentale motivo per aprire l'azienda alla collaborative innovation.

  • diviene fondamentale non tanto l'innovazione in sé, quanto la capacità di fare innovazione. Non tanto la gestione del singolo progetto innovativo, quanto la capacità di gestire un'organizzazione che innova (pag. 39)

Nell'ottica di un economia in continuo mutamento mi pare questa visione divenga sempre più importante. Il paragone che mi viene in mente è quello relativo alla rilevazione della customer satisfaction: da un lato possono essere realizzate delle indagini spot (una tantum) spesso slegate l'una dall'altra; dall'altro è possibile impostare dei veri e propri progetti di monitoraggio continuativo che mettono in relazione aspetti di soddisfazione del cliente con elementi di profittabilità dell'impresa. Due approcci tra di loro alquanto distinti.

  • l'idea di innovazione continua si fonda su un cadenzamento sistematico delle innovazioni (…) ciò non implica sviluppare in modo continuo innovazioni di natura radicale, visti i costi ed il rischio di insuccesso che queste comportano, ma un ricorso a trecentosesanta gradi alle varie tipologie di innovazioni attivabili nel mercato (pag. 40)

Dunque innovazione continua non vuol necessariamente dire innovare continuamente, ma piuttosto predisporre il maggior numero possibile di strumenti perché l'azienda dialoghi in termini innovativi ed in modo continuativo con il mercato. In altri termini si tratta di estendere il sistema di informazione di marketing, aprendolo al maggior numero di stimoli e contaminazioni possibili (tenendo però sempre ben presente la necessità che l'informazione raccolta deve comunque rimanere gestibile).

  • la conoscenza emergente nelle relazioni tra consumatori influenza profondamente le scelte di adozione di nuovi prodotti (pag. 51)

Nulla di apparentemente nuovo sotto il sole: alcuni consumatori provano il nuovo prodotto/servizio prima di altri e ne (s)consigliano il consumo ad altri. L'elemento di assoluta novità che talvolta può sfuggire è che i social network consentono di diffondere sia le opinioni dei consumatori ben oltre i confini geografici e culturali noti nell'era precedente a quella della diffusione di massa di Internet.

  • i segmenti [di mercato] per i quali l'offerta dell'impresa genera un valore superiore rispetto a quella resa disponibile dai concorrenti tenderanno ad essere maggiormente collaborativi (pag. 53)

Il consumatore può infatti scegliere se collaborare a progetti innovativi promossi dalle imprese così come decidere con quali imprese collaborare. Egli/ella tenderà a collaborare a progetti che generano il maggior valore aggiunto per se stesso/a. Questa è generalmente la peculiarità offerta del leader di settore. Dunque essere leader di settore tende a produrre una maggiore volontà di adesione a progetti di collaborazione innovativa da parte dei propri consumatori. Questo atteggiamento è probabilmente correlato anche ad un maggiore livello di soddisfazione e di fidelizzazione espresso dai clienti di aziende leader di settore e rientra all'interno di un circolo virtuoso:

  1. azienda leader di mercato =>

  2. clienti tendenzialmente più soddisfatti e fidelizzati =>

  3. maggiore disponibilità a collaborare per innovare =>

  4. maggiore soddisfazione e fidelizzazione =>

  5. consolidamento posizione dominante dell'impresa

Meno ovvio è dunque il cammino verso la collaborazione innovativa per le aziende che non sono leader di mercato. In questo caso diviene opportuno stimolare la volontà dei clienti a collaborare attraverso attività di comunicazione ed incentivazione mirate.

  • i lead user si sono rivelati fondamentali nei mercati ad alto tasso di coinvolgimento emotivo del cliente (pag. 55)

Ciò accade perché in tali contesti il cliente e meno capace di esprimere razionalmente le proprie preferenze ed i lead user tendono a fungere da trait d'union di fondamentale importanza tra la base di consumatori e l'impresa, aiutando l'azienda a tradurre bisogni ed atteggiamenti inespressi o non articolati esplicitamente in informazione utilizzabile nel processo di sviluppo dei nuovi prodotti.

  • i clienti possono apprezzare e quindi ricercare innovazioni che riducano i costi connessi al processo di acquisto e consumo (pag. 63)

Infatti non bisogna dimenticare che innovare non significa necessariamente creare qualcosa di nuovo, ma talvolta “semplicemente” produrre in modo più efficiente ed economico gli stessi beni/servizi già presenti sul mercato. In questo caso l'innovazione ha un impatto sul conto economico aziendale pur non avendo un impatto diretto sul mercato.

  • tramite la creazione di comunità virtuali di consumo, il Web permette alle aziende di accedere alla dimensione sociale della conoscenza dei consumatori (pag. 71)

La dimensione sociale della conoscenza rappresenta un concetto importante e talvolta sottovalutato. Grazie alle possibilità di interazione offerte dal web 2.0 è infatti sempre più centrale nella realtà dei consumatori la possibilità di esprimere la propria socialità attraverso interazioni virtuali. La conoscenza tecnico/pratica posseduta dai consumatori e manifestata attraverso le interazioni online si integra con una conoscenza di tipo sociale che arricchisce l'output finale, il quale però si presenta commisto delle due componenti e, prima di potere essere utilizzato nei processi innovativi, deve essere opportunamente analizzato e compreso.

  • il senso di appartenenza e di identità comune che viene a consolidarsi all'interno delle comunità virtuali può fortemente potenziare i processi informali di integrazione della conoscenza a livello sociale (pag. 78)

Si generano infatti una serie di relazioni basate sulla fiducia reciproca e sulla condivisione di valori; sono proprio fiducia e condivisione che possono motivare la partecipazione attiva di coloro che aderiscono alle comunità online

  • nei contesti virtuali l'impresa ha […] la possibilità di accedere in maniera sistematica e su ampia scala […] a una conoscenza di consumo di tipo simbolico, di natura sociale, a un livello di codificazione tacito e di ampio respiro (pag. 82)

I meccanismi attraverso i quali accedere ad una tale forma di conoscenza si chiamano comunità virtuali, netnografia, lead users, ecc... Una volta progettati, messi a punto correttamente e gestiti, tali meccanismi possono permanere a lungo nel tempo ed essere utilizzati dall'azienda ripetutamente non soltanto come laboratori di innovazione continuativa, ma anche come sistemi permanenti di feedback di mercato.

  • gran parte dell'utilità per l'utente [di un nuovo servizio] discende dall'esperienza che egli stesso contribuisce a creare nelle sue interazioni con l'azienda al momento dell'erogazione (pag. 86)

L'utente desidera sempre di più essere parte attiva del processo di creazione del valore, non soltanto il mero destinatario di quel processo. I servizi sono sempre meno percepiti come scatole chiuse ed inaccessibili; sono invece sempre più terreno di confronto e di sperimentazione tra fornitori ed utenti dei servizi stessi. Il confine tra fornitore ed utilizzatore del servizio diventa particolarmente labile nelle comunità di consumo virtuali nelle quali spesso una parte degli utilizzatori diventano anche “fornitori” (di alcune componenti) del servizio.

  • gli stessi utenti tendono a giungere a diverse articolazioni del "prodotto ideale" a seconda che sia richiesto loro di aggiungere attributi a un modello base o sottrarre attributi non desiderati alla configurazione più completa possibile (pag. 91)

Mi pare questo sia un'interessante risultato sperimentale. Ci ricorda di quanto sia difficile mappare correttamente il processo mentale che induce il singolo individuo a scegliere un determinato prodotto/servizio.

  • [le comunità virtuali] vengono a costituire un target particolarmente interessante per l'azienda, in quanto risultato di un processo di auto-segmentazione che garantisce elevato coinvolgimento […] nei casi migliori trasformando gli utenti in veri proseliti della propria offerta (pag. 95)

Dunque le comunità virtuali possono/debbono essere utilizzate non soltanto come strumento per l'innovazione ma, più ampiamente, rientrare a pieno ruolo nella strategia di marketing aziendale, soprattutto in quei mercati ed in quegli ambiti dove l'acquisto ed il consumo del prodotto/servizio assume una marcata connotazione sociale.

  • [nell'approccio] open sourcing […] l'impresa viene a beneficiare del forte senso di responsabilità che il singolo [… avverte] nei confronti del gruppo e che lo motiva ad apportare il suo migliore contributo (pag. 113)

Sicuramente il senso di responsabilità verso il (come quello di riconoscenza da parte del) gruppo sono determinanti nel motivare la partecipazione attiva ad iniziative di collaborazione aperta e distribuita. Rappresentano la “moneta” attraverso la quale i collaboratori al progetto spesso si sentono ripagati; sono dunque elementi ai quali riservare un'attenzione del tutto particolare nella progettazione e realizzazione di un qualsiasi progetto open-source.

  • [Ducati ha scoperto che] un numero rilevante dei propri fan trascorre il suo tempo non solo a guidare la propria moto, ma anche a prendersene cura e a personalizzata (pag. 121-122)

Le attività di consumo infatti spesso non si limitano alla mera fruizione/utilizzo del prodotto/servizio, ma consistono anche in forme di personalizzazione del prodotto/servizio stesso. Si pensi ad esempio alle “cover” dei telefoni cellulari, agli interni della propria auto, alla personalizzazione della propria pagina web oppure alla scelta dei canali televisivi selezionabili rapidamente attraverso il telecomando. Si può probabilmente pensare che la personalizzazione del prodotto/servizio sia parte dell'attività di fruizione stessa. Si può anche ipotizzare che esistano desideri di personalizzazione più o meno marcati da parte dei singoli clienti e che questi interagiscano con il grado di coinvolgimento che il singolo consumatore pone in ogni categoria di prodotto: più alto il coinvolgimento con quel prodotto/servizio, più elevato sarà molto probabilmente il desiderio di personalizzare quel prodotto/servizio.

  • La predisposizione di appropriati meccanismi di ricompensa per i partecipanti è un fattore chiave per il coinvolgimento del cliente nell'innovazione (pag. 127)

La necessità di dare qualcosa in cambio ai clienti che spendono tempo ed energie per aiutare l'azienda ad innovare (ma anche, più in generale, a gestire il proprio business) è un aspetto che penso non venga mai stressato a sufficienza. L'occasione di fornire una ricompensa è anche utile a rafforzare la propria brand image presso i clienti che, decidendo di partecipare attivamente ad un'iniziativa aziendale di un certo spessore, si dimostrano essere in qualche modo già “legati” al marchio aziendale. Paradossalmente anche coloro che hanno vissuto un'esperienza negativa ed hanno quindi un atteggiamento tutt'altro che favorevole rispetto all'impresa possono sentire il bisogno di relazionarsi con l'azienda.

  • le aziende sono interessate [alla conoscenza raccolta dai virtual knowledge broker] per almeno due ragioni […da un lato] esse sono vincolate dai loro limiti cognitivi e dalle loro core competence […dall'altro] la loro reach è fisicamente limitata da confini geografici e settoriali (pag. 137)

L'apporto degli innomediari, e cioè degli intermediari dell'innovazione, è importante per superare una serie di confini che ogni azienda tende a stabilire intorno a se, siano esse barriere operative, geografiche oppure culturali: l'impresa necessità di spaziare oltre i propri limiti per riuscire a carpire delle opportunità altrimenti irraggiungibili per potere innescare un processo di cross-fertilizzazione che più facilmente porta alla concretizzazione di idee innovative.

  • oggi [è] una scelta imprescindibile per molte aziende lo sviluppo di canali di comunicazione interattiva con e tra i propri clienti (pag. 143)

Dunque la questione non si pone più in termini di “se” gestire un numero crescente di interazioni con i propri clienti, ma piuttosto “come” gestire tali interazioni. Nello specifico la comunicazione azienda <=> cliente avviene sempre più in tutte e 4 le possibili direzioni: azienda=>azienda (comunicazioni interne), azienda=>cliente (promozioni, offerte, risposte alle richieste, ecc), cliente=>azienda (richieste di informazioni, richieste di assistenza, feedback spontanei, feedback sollecitati, ecc) e cliente=>cliente (scambi di opinioni ed esperienze, richieste di assistenza, ecc).

  • Le comunità virtuali hanno un'origine e una natura sociale, prima ancora che economico-produttiva […] basata sulla condivisione di risorse di natura cognitiva, emozionale o materiale

Diversamente non sarebbe possibile il livello di condivisione e di “produttività” creativa che le comunità spesso garantiscono. Altre forme di aggregazione più “semplici” sono i network, i quali presentano legami tra i membri duraturi nel tempo ma non sottointese da profondo interesse comune, una cultura condivisa ed un'identità legittimata dal gruppo (Sawhley & Prandelli, 2000). Quindi fare comunità vuol dire creare senso di appartenenza, stimolare la partecipazione attiva, favorire la formazione di relazioni personali tra i partecipanti, facilitare la diffusione di un clima di fiducia e collaborazione reciproca tra i membri, delineare le regole ed i confini di appartenenza alla comunità, ecc....

  • [le comunità di pratica sono] volte a favorire la socializzazione delle esperienze maturate dai loro membri […] al fine di creare conoscenza condivisa, favorirne il riutilizzo e la sedimentazione nel tempo (pag. 147)

Tra le varie forme di comunità quella di pratica mi pare rappresenti un primo interessante passo verso l'innovazione. I due obiettivi fondamentali di questo tipo di comunità sono quelli di socializzare e di condividere la conoscenza. La socializzazione consente il diffondersi di un clima di fiducia e collaborazione, mentre la condivisione delle conoscenza è alla base dei meccanismi di creazione delle nuove idee. Importante anche l'aspetto di permanenza delle interazioni nel tempo, aspetto utile come riferimento continuo alle esperienze ed alla conoscenza aziendale già maturata e potenzialmente utile in futuro.

  • Le funzioni fondamentali di una comunità virtuale di consumo […sono] aggregazione della domanda su scala globale; analisi di mercato; intensificazione dei flussi di comunicazione con e tra i consumatori; co-definizione dei valori associati al brand aziendale; fidelizzazione degli utenti (pag. 151)

L'adozione di una comunità virtuale di consumo richiede dunque una ritrutturazione piuttosto significativa delle funzioni aziendali, ed in particolare del marketing. In particolare non siamo più in uno scenario marketing 1.0 dove l'azienda periodicamente offre i propri prodotti/servizi comunicandone i benefici ad un mercato target e periodicamente raccoglie i feedback del mercato stesso; nel marketing 2.0 la mappa ed i contenuti delle comunicazioni si complica sostanzialmente, ogni singolo partecipante al mercato può virtualmente comunicare con ogni altro partecipante a costi contenuti (spesso pressoché nulli); sia i bisogni che le alternative per soddisfarli divengono più fluide, e l'azienda si trova a fronteggiare crescenti difficoltà nel condizionare i comportamenti del mercato secondo la propria volontà.

  • [le comunità virtuali servono anche per definire i] valori associati ai marchi dell'impresa in un'ottica sempre più collaborativa […in quanto] all'interno della comunità si innesca una sorta di negoziazione tra […] significati (pag. 155)

Cosa rappresenta un determinato marchio? In passato era principalmente la comunicazione aziendale a definire il significato da associare al marchio; oggi è sempre più l'interazione tra coloro che acquistano, utilizzano e/o promuovono il marchio a definire i valori del brand. Ad esempio, il teenager che in passato utilizzava il gruppo dei pari (scuola, amici, ecc) come “laboratorio” di elaborazione del significato da attribuirsi alla marca di abbigliamento X, oggi ha anche la possibilità di venire in contatto (rapidamente ed a costi pressoché nulli) con altri teenager in tutto il mondo, scambiare con loro contenuti multimediali, essere cittadino del cyberspazio e di conseguenza molto probabilmente attribuire significati diversi alla marca X.

  • La fiducia nei confronti degli altri membri della comunità […] è […] influenzata da […] l'esistenza di opportuni meccamismi di validazione delle informazioni […e] dalla bontà del contributo che il singolo di volta in volta riceve dagli altri membri della comunità (pag. 160)

Per funzionare al meglio le comunità (virtuali) devono in qualche misura autogestirsi, definendo non soltanto i meccanismi di valutazione dei singoli contributi/partecipanti, ma anche le regole di partecipazione e le relazioni con l'eventuale azienda sponsor, ivi compresi eventuali pay-off per coloro che contribuiscono attivamente al benessere della comunità (e di conseguenza dell'azienda). Il meccanismo di sanzione rispetto ai partecipanti e/o alle aziende che non rispettano le regole di adesione alla comunità è spesso implicito ma non per questo meno efficace.

  • Il controllo monopolistico della conoscenza […] e i profitti che ne derivano rappresentano una perdita per la società, causata dal mancato possibile utilizzo della stessa (pag. 190)

Interessante concetto macroeconomico che sta alla base dello svilippo dell'Open Source Software e della General Public License. In questo contesto, l'azienda produttrice di software che desidera rimanere concorrenziale deve necessariamente considerare la sfida posta dal mercato open source; un possibile modello di business in questo senso è quello di offrire supporto, assistenza tecnica e consulenza agli utenti di software open source non (pienamente) in grado di integrare l'applicativo nei propri processi produttivi e gestionali.

  • a specifiche condizioni - ad esempio attraverso la diffusione dell'innovazione per beneficiare degli effetti di rete - rendere disponibile senza restrizioni l'innovazione può portare a un guadagno netto in termini di profitto (pag. 192)

Altro concetto decisamente interessante ed....innovativo! Il brevetto è solitamente costoso e lungo da ottenere, ed allo stesso tempo brevettando si rischia che il brevetto venga superato o migliorato nel giro di breve, per cui talvolta ha realmente senso pensare di ottenere dei profitti rendendo liberamente disponibile sul mercato l'innovazione ed offrendo dei servizi utili per implementare/adattare l'innovazione.

  • chi più mette a disposizione il proprio supporto per aiutare gli altri è anche più facilmente […] in grado di contribuire all'innovazione (pag. 199)

All'interno delle comunità virtuali si instaura infatti un meccanismo virtuoso che tende ad autoalimentare ed automotivare la partecipazione di alcuni “attivisti” rispetto agli altri. Costoro non soltanto beneficiano della reputazione che si sono creati all'interno della comunità, ma generano sempre più contributi ed idee a beneficio degli altri. Dunque in ogni comunità virtuale è possibile evidenziare alcuni “lead user” che più di altri partecipano, innovano, gestiscono la comunità ed accrescono la propria reputazione. Gli stessi individui sono quelli che generalmente risultano più utili per l'azienda intenzionata ad innovare.


BIBLIOGRAFIA:

Sawhney M. & Prandelli E. (2000) Communities of Creation: Managing Distributed Innovation in Turbulent Markets, California Management Review, 42/4, pp. 24-54